Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 14 settembre 2013

848 - 3 DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

In questo discorso di rivelazione del Figlio (Vangelo di Giovanni, 5,25-36), Gesù annunzia con solennità che è giunta l’“ora” in cui i “morti”, ossia quanti non sono stati illuminati dal suo Vangelo, finalmente lo «udranno e a chi l’avrà accolto, sarà donata la vita» (v. 25). Questo perché anche il Figlio «ha la vita in sé stesso» proprio in quanto Figlio del Padre che è fonte della vita. Con la vita il Figlio riceve anche la funzione di giudicare propria del Figlio dell’uomo, che esige cioè un’adeguata risposta in coloro che odono il suo messaggio (vv. 26-27). Una funzione questa che non riguarda solo il presente, ma che attiene al giudizio finale (vv. 28-30). Nella seconda parte del brano Gesù produce delle testimonianze sulla sua missione tra le quali la prima è quella di «un altro», ovvero del Padre (vv. 31-32). Segue quella data da Giovanni il Battista descritto come lampada che aveva annunciato la presenza del Messia. Un annuncio anch’esso non accolto (vv. 33-34). Gesù, infine, ritorna sulla “testimonianza superiore”, vale a dire le opere che lui compie, ossia i grandi segni che lo accreditano come l’inviato dal Padre, da Dio (v. 36).
Nelle domeniche che si succedono a partire dalla festa del martirio del Precursore, siamo invitati dalle divine Scritture ad accogliere la “testimonianza” che esse danno di Gesù e della sua missione nel mondo. In realtà, l’ascolto delle Scritture, ci permette di udire la testimonianza che Dio stesso dà di Gesù, mandato nel mondo a compiere quelle opere salvifiche sintetizzate nella sua Pasqua (cfr. Vangelo: Giovanni 5,36).
Di Gesù, a cavallo tra l’Antica e la Nuova Alleanza, ha dato efficace testimonianza Giovanni Battista, definito dallo stesso Signore quale «lampada che arde e risplende» (v. 35), con il compito di additare in lui l’inviato di Dio atteso dal popolo e soprattutto il Figlio Unigenito del Padre. È questa la «testimonianza alla verità» che Israele è invitato ad accogliere e, con Israele, sono invitati tutti i popoli.
Proprio nella sua condizione di “Figlio”, Gesù viene nel mondo perché “i morti”, ossia l’umanità avvolta dalle tenebre dell’incredulità e del peccato, odano la sua voce e «quelli che l’avranno ascoltata, vivranno» (v. 25). La «voce del Figlio di Dio», infatti, è capace di oltrepassare ogni barriera e ogni abisso per raggiungere il cuore dell’uomo, e liberarlo, così, dalla “morte eterna”, dalla quale è già avviluppato a causa del suo peccato, donandogli la “vita” che il Figlio, in quanto tale, ha in sé stesso.
In tal modo viene portata a compimento non solo per Israele, ma per ogni uomo, la profezia con la quale Dio, fedele a sé stesso, al giuramento d’amore per il suo popolo, non solo decide unilateralmente di cancellare i suoi misfatti e di non ricordare più i suoi peccati (Lettura: Isaia 43,25), ma di versare «il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri» (v. 3), sicché è davvero «beata la nazione che ha il Signore come Dio, il popolo che egli ha scelto come sua eredità» (Salmo32).
Effondere lo spirito e recare al mondo la benedizione divina capace di ridare vita ai “morti” è l’opera che Dio ha dato da compiere al suo Unigenito, il quale cerca sempre di fare «la volontà di colui che lo ha mandato» (cfr. Giovanni 5,30).
Un’opera adempiuta nella sua Pasqua, come precisa opportunamente l’Epistola: «Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Ebrei 12,2).
Lo spirito e la benedizione divina per l’uomo di ieri, di oggi e di sempre, risiede pertanto nella persona del Figlio Unigenito di Dio, in Gesù di Nazaret, il Crocifisso/Risorto. Ascoltare la sua voce e credere in lui significa letteralmente “uscire dai sepolcri” nei quali l’incredulità e il peccato tengono già rinchiuso l’uomo e soprattutto ottenere in dono non tanto la vita terrena che è «un soffio», ma la vita di Dio che il Figlio ha in sé stesso (Giovanni 5,26).
È la vita di cui egli fa partecipi quanti, «avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Ebrei 12,1-2).Tenere fisso lo sguardo su Gesù significa concretamente credere in lui, costi quel che costi, poggiare ogni attesa e ogni speranza su di lui il quale, solo, ha dimostrato di avere in sé stesso la vita e di donarla a quanti «ascoltano la sua voce» (Giovanni 5,25).
Intanto di quell’ascolto e del conseguente dono della vita ci è dato di fare iniziale autentica esperienza nella celebrazione eucaristica. In essa, come ci fa dire il canto Alla Comunione, «Il Pane della vita è spezzato, il Calice è benedetto. Il tuo corpo ci nutra, o Dio nostro, il tuo sangue ci dia vita e ci salvi.
A. Fusi