Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 6 aprile 2013

801 - II DOMENICA DOPO PASQUA

Il testo evangelico (Gv. 20,19-31) si presenta chiaramente diviso in due parti riguardanti rispettivamente l’apparizione del Signore Risorto la sera di Pasqua (vv. 19-23) e il successivo suo incontro“otto giorni dopo” con la presenza, stavolta, dell’apostolo Tommaso (vv. 24-29). I vv. 30-31, infine, riportano alcune considerazioni conclusive dell’evangelista in ordine al suo Vangelo,messo per iscritto con l’intento di suscitare la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio e, ottenere in tal modo, la “vita” ossia la comunione filiale, per mezzo di Cristo, con il Padre.
Il presente brano evangelico,che ogni anno viene proclamato nella seconda domenica di Pasqua, è di decisiva importanza per la comprensione dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua missione. Va anzitutto sottolineata l’importante precisazione riguardante il raduno dei discepoli «la sera di quel giorno», quello, s’intende, della Risurrezione, in un unico luogo (v. 19). Ciò sembra indicare che, quanto viene narrato, riguarda la comunità ecclesiale di allora, come di oggi e di sempre. Al centro dell’attenzione c’è il Signore Gesù che si presenta ai suoi riuniti a porte chiuse «per timore dei Giudei». Viene così evidenziato che non vi sono ostacoli e barriere che possano impedire al Signore di “stare in mezzo” alla sua Chiesa e di offrire il dono pasquale della pace, dovuta proprio alla sua presenza. Con il Signore Risorto, perciò, nel cuore dei discepoli la pace subentra al timore. A essi Gesù si fa riconoscere mostrando«loro le mani e il fianco», con i segni della trafittura dei chiodi e della lancia del soldato romano, facendo sgorgare la gioia nei loro cuori alla vista del Maestro che videro pendere dalla Croce (v. 20).
A essi il Crocifisso/Risorto può ora consegnare il mandato per la specifica missione che dovranno compiere e che la Chiesa dovrà continuare lungo i tempi. Egli, che è l’inviato dal Padre, a sua volta manda i suoi discepoli e, in essi, quanti lungo i secoli formeranno la sua Chiesa, a compiere la sua stessa missione di salvezza garantendone l’efficacia mediante il dono dello Spirito, indicato nel gesto molto espressivo del soffiare su di essi (v. 22). La missione consiste essenzialmente nell’estendere a ogni uomo il frutto della Pasqua, vale a dire la remissione e il perdono dei peccati e con la potenza dello Spirito il dono di una vita nuova. In tal modo la Chiesa può portare nel mondo la “vita”, quella che nel Signore Gesù ha trionfato sul peccato e dunque sulla morte nella cui oscurità giace il mondo e, in esso, l’intera umanità.
In questa zona oscura si colloca Tommaso, «uno dei Dodici», con il deciso rifiuto di accogliere la testimonianza dei discepoli: «Abbiamo visto il Signore!» (v. 25).
Tommaso, che «non era con loro quando venne Gesù» la sera del giorno della sua risurrezione (v. 24), rappresenta tutti coloro che, nei secoli, dovranno fidarsi e affidarsi alla testimonianza che la comunità dei credenti offre su Gesù, il Vivente, senza esigere perciò di vedere e di mettere personalmente la mano nelle sue ferite. Tommaso supererà questa pretesa “otto giorni dopo” allorché il Signore tornerà tra i suoi recando il dono della pace e gli chiederà di mettere il suo dito e la sua mano nelle sue ferite esortandolo a «non essere più incredulo, ma credente!» (v. 27). Esortazione che va compresa, in realtà, rivolta a ogni futuro discepolo e, in prospettiva, a ogni uomo chiamato a diventarlo.
La reazione di Tommaso è quella di chi oramai è diventato credente. Ora non è più interessato a vedere e a toccare le ferite del Signore, ma si rivolge a lui con una proclamazione di fede assoluta: «Mio Signore e mio Dio!».Con ciò riconosce che il suo Maestro, morto sulla Croce, deposto nel sepolcro, è il Risorto, è Dio!
Le parole conclusive del Signore (v. 29) sono anch’esse rivolte, tramite Tommaso, ai futuri credenti e, dunque, anche a noi che oggi le ascoltiamo nella proclamazione liturgica dell’evangelo. Fin da ora siamo da Gesù stesso proclamati beati perché crediamo in lui senza poterlo vedere e toccare. Vedere e toccare il Risorto è l’esperienza propria dei Dodici. D’ora in poi la fede dei credenti dovrà poggiarsi sulla loro testimonianza guardandosi, come avverte l’Apostolo, di cadere vittima della vuota pretesa di chi pensa e ragiona «secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Epistola: Colossesi 2,8). Per questo abbiamo così pregato nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «Dio…avvinci a te il cuore dei tuoi servi; tu che ci hai liberato dalle tenebre dello spirito non lasciarci allontanare più dalla tua luce».
Nella celebrazione eucaristica, scandita dal solenne ritmo domenicale istituito dalle apparizioni del Risorto, è possibile per noi vivere, nel mistero, l’esperienza degli Apostoli: crescere nella fede e nell’amore del Signore e accogliere, con il “soffio” del suo Spirito, il mandato che ci abilita alla missione evangelica nel mondo.
La Lettura mostra come questa missione è stata da subito attuata dagli stessi Apostoli, i quali annunziano con estrema chiarezza che «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Atti degli Apostoli 4,12). L’esperienza che essi hanno fatto del Risorto, la missione ricevuta nella potenza dello Spirito Santo, è insopprimibile nei loro cuori e li spinge ad annunziare a tutti, anche a costo della vita, la reale unica possibilità di salvezza che è in Cristo Signore: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).
Anche noi, di domenica in domenica, impariamo a «camminare nella nuova realtà dello Spirito», nella quale siamo stati stabiliti dai sacramenti pasquali. In tal modo «ci è dato di superare il rischio orrendo della morte eterna, ed è serbata ai credenti la lieta speranza della vita senza fine» (Prefazio) che ci è già donata nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» ( Colossesi 2,9).
A. Fusi