Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 8 marzo 2013

783 - LA DOMENICA DEL CIECO NATO

Il brano di Giovanni è strutturato in tre parti. La prima, vv. 1-12, riporta la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la seconda: vv. 13-34 riporta la reazione dei farisei con il duplice interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori (vv.18-23); la terza (vv. 35-39) propone il dialogo tra Gesù e il miracolato che professa la sua fede in lui. Nella prima parte il racconto del miracolo è preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione del cieco dalla nascita sia dovuta a colpe commesse da lui o dai suoi genitori (v. 2). Gesù esclude il nesso cecità-peccato e afferma che nell’uomo, nato cieco, Dio manifesterà le sue “opere”che riguardano l’illuminazione del mondo mediante il suo Figlio entrato in esso come “luce” (v. 3). La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per i gesti di Gesù che, dopo aver fatto del fango con la sua saliva, lo spalma sugli occhi del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe, «che significa Inviato». Con quel gesto Gesù intende far capire che l’uomo è di per sé prigioniero delle tenebre da cui potrà essere liberato recandosi dall’“Inviato”, ossia credendo in lui che è venuto nel mondo proprio per compiere tale “opera”. La prima parte si chiude con la constatazione dell’avvenuta guarigione del cieco nato da parte dei conoscenti (vv. 8-12) e soprattutto con le domande sul “come” abbia ottenuto la vista; domande che saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto.
Questa si apre con il miracolato condotto dai farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono da subito una posizione negativa nei confronti di Gesù il quale, «facendo del fango», ha violato il precetto fondamentale per Israele del riposo sabbatico. Sorprende la reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è un profeta (v. 17). Con ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al contrario dei farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di illuminazione del Signore, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge alla pienezza di luce ossia alla pienezza di fede in lui: è «un profeta» (v. 17); «viene da Dio» (v. 33); «Figlio dell’uomo» (v. 35).
Il racconto si conclude con Gesù che volutamente va a cercare e trova il miracolato cacciato fuori dalla Sinagoga (vv. 34-35) per proporgli di aderire a lui che racchiude in pienezza il mistero del Figlio dell’uomo che, in verità, è il Figlio di Dio!
La risposta finale del cieco che ora vede per la prima volta il Signore è una decisa professione di fede resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il cieco nato, illuminato dal Signore, diviene il prototipo e l’esemplare per tutti i credenti.
Avvicinandosi le solennità pasquali i testi biblici, oggi proclamati, intendono accompagnare e favorire una più immediata preparazione al Battesimo, prima attualizzazione della salvezza pasquale, e propiziare, nei già battezzati, la riscoperta e, se è il caso, l’impegno a recuperarne la grazia persa con il peccato.
Anche la nostra tradizione liturgica, infatti, ha letto in chiave battesimale sia l’evento vetero-testamentario dell’acqua scaturita dalla roccia (cfr. Lettura: Esodo 17,6), sia il racconto evangelico della guarigione dell’uomo, cieco dalla nascita, da sempre riconosciuto come “essenziale” nella catechesi di preparazione al Battesimo.
Ne fa fede il Prefazio I, appartenente all’antica scuola eucologica ambrosiana che ne sintetizza così il significato: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata».
In questo contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe, rappresenta il passaggio dall’oscurità totale, che è l’incredulità, alla grazia di “vederci”, ossia di pervenire alla fede che il Vangelo rende plasticamente nel cieco guarito che vede con i suoi occhi Gesù! È lui, Gesù, il Figlio la“luce vera” che al credente è concesso di guardare in faccia, “a viso scoperto”. In effetti è fin troppo evidente registrare ieri, come oggi, che l’umanità, priva dell’illuminazione propria del dono battesimale della fede, vive in un’interiore totale “oscurità”.
L’uomo di fatto non sa chi è, qual è il senso della sua vita, qual è il destino che l’attende. Egli è nella solitudine più drammatica e infelice finché non incontra Colui che è la “Luce del mondo” che gli indica il cammino da compiere: «Va’ a lavarti alla piscina di Siloe» (Vangelo: Giovanni 9,7), immergiti cioè nel dono battesimale che apre il tuo cuore alla fede. Ti sarà allora permesso di “vedere Gesù” e, in lui, di comprendere finalmente anche te stesso e il senso del tuo esistere e del tuo destino, quello di essere elevato «con il sacramento della rinascita… alla dignità di Figlio”».
Pertanto, ciò che conta più di ogni altra cosa è poter “vedere”, ossia riconoscere con fede, nel Signore Gesù, la “luce del mondo”. È questa la splendida “illuminazione” che ha portato il cieco nato a confessare con piena adesione a colui che afferma di essere il “figlio dell’uomo”(Giovanni 9,35-38): «Credo, Signore!». Ad essa, purtroppo, al pari dei farisei, non pochi chiudono ostinatamente il loro cuore racchiudendosi da sé stessi in una notte tenebrosa senza fine.
A ragione, perciò, l’Apostolo si rivolge ai fedeli di Tessalonica dicendo: «Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (Epistola: 1 Tessalonicesi 5,5). Queste parole si addicono, dunque, a quanti sono stati “illuminati”ovvero a quanti, per mezzo del Battesimo, costituiscono il popolo dei fedeli e, simultaneamente, rappresentano un monito a non ritornare nelle “tenebre” dell’incredulità facendosi trascinare dal fascino oscuro del peccato.
Per questo l’Apostolo esorta a vivere nella sobrietà e a vestirsi «con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza» (v. 8). Si tratta di esortazioni che noi tutti siamo invitati ad accogliere di buon animo improntando la nostra vita sull’insegnamento apostolico che ci preserva dallo scivolare di nuovo nelle “tenebre”. Per questo abbiamo bisogno di immergerci continuamente nel flusso di grazia che fuoriesce dal Cristo Crocifisso che accostiamo nei divini misteri.
A lui, consapevoli della nostra debolezza, affidiamo l’inestimabile dono battesimale che ci ha fatti «figli della luce» (v.5) e quello ancora più grande, frutto della sua morte «per noi», quello di vivere «insieme con lui»(v.10), di condividere cioè la sua vita che sperimentiamo già da ora, accostandoci al suo altare così pregando: «Signore, dà luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» (All’Ingresso).
Alberto Fusi