Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 26 gennaio 2013

769 - LA SACRA FAMIGLIA A TAVOLA

Sacra Famiglia a tavola - Scuola di Guido Reni
La visione strappa subito un sorriso. C’è qualcosa di inusuale in questo dipinto che induce alla sorpresa, coinvolgendo dentro un quotidiano che, più del solito, ci appartiene e sentiamo nostro.

Sono tante e conosciute le immagini della Sacra Famiglia che scorrono nella nostra memoria: dipinti straordinari per qualità estetica e pregnanza di significato, opere di grandi artisti che ci tramandano di volta in volta l’incanto della natività di Gesù (Giotto), la solennità dell’incontro con i Magi (Gentile da Fabriano), la semplicità della sua presentazione al Tempio (Bellini), la tristezza della fuga in Egitto (Beato Angelico), la fatica ed il riposo nel lungo viaggio (Caravaggio), l’intimità di una vita familiare con Maria e Giuseppe al lavoro (Rembrandt), lo stupore nel ritrovarlo, dodicenne, nel Tempio in mezzo ai dottori della legge (Durer). È invece immagine rara, forse unica, sicuramente originale, il sorprendere la Sacra Famiglia seduta a tavola in una circostanza che i molti particolari dipinti concorrono ad interpretare come un sereno ed intimo momento di festa familiare per e attorno a Gesù.
Verso la metà del 1600, l’abile mano di un autore, ancora incerto, cresciuto artisticamente alla scuola di Guido Reni riesce a dare vita ad un elegante impianto narrativo che la vena domestica del racconto arricchisce di profonde suggestioni e delicate emozioni: una calda luce, sapientemente dosata, esalta colori vivaci ed unifica, con armonico effetto, forme classiche e posture di sapore tardo manieristico.
È dunque una festa: la raffinata e trasparente tovaglia copre la tavola sulla quale sono appoggiati in maniera semplice, ma ordinata, i diversi piatti e dove, ben in evidenza, sono disposte anche forme di pane assieme all’anfora del vino rosso in primo piano. Su un alto sgabello, al centro, sta seduto il piccolo Gesù la cui veste è preservata, come si fa con i bambini, da un bianco tovagliolo legato alle spalle. Non meraviglia certo questo suo “essere centro” dello spazio e delle cose, reso ancor più evidente dagli sguardi e dai gesti di Maria e di Giuseppe che si rivolgono e si fissano su di lui. La festa è per lui, ma è più opportuno riflettere che la festa “è lui” e “fare festa” significa stare con lui, godere della sua presenza, in perfetta sintonia e comunione, seduti alla stessa tavola che lui già “presiede” e alla quale lui dà senso vero e compimento definitivo con l’autorevolezza della sua parola, come sembra alludere l’essere seduto in alto e la verità del suo agire per amore, come richiama il rosso della veste.
Tuttavia quello che sorprende è il gesto che Gesù sta compiendo: aiutato da Giuseppe, forse per la prima volta, assapora con naturale imbarazzo e infantile titubanza, il gusto del vino. Maria lo guarda quasi accompagnando con la tenerezza dello sguardo e la palpitazione del cuore questa semplice, ma significativa, esperienza del figlio. La sua mano destra si sposta delicatamente e lentamente sulla tavola verso di lui, subito pronta a venirgli in aiuto con premura e saggezza di mamma.
Stupisce anche l’agire di Giuseppe: sempre relegato un po’ ai margini nella tradizionale iconografia già ricordata, l’uomo che nei Vangeli non proferisce mai parola, colui che ogni volta si fa custode e garante della volontà di ben altro “Padre”, qui compie, quasi d’istinto, un gesto importante di portata profetica: riempito il bicchiere di vino lo porge deciso a Gesù sostenendone la base perché non ne vada persa alcuna goccia, mentre il bambino l’afferra portandolo a sé.
È bella la figura di Giuseppe a cui il taglio particolare della luce conferisce una plasticità e un dinamismo del tutto naturale nel protendersi deciso verso il Figlio: egli è l’uomo che “agisce” in silenzio, con prontezza e fedeltà dentro il dipanarsi del Mistero di Cristo.
Maria, invece, totalmente abitata dalla luce, appare ferma nella sua giovanile eleganza di donna: in lei a prevalere è il pensiero che nello sguardo si rivela allo stesso tempo compiaciuto, dolce, ma anche attraversato da intuizioni di sofferenza e dolore.
È proprio attraverso lo sguardo di Maria che la scena abbandona la sua naturale quotidianità per diventare profetica. Il vino che il piccolo Gesù sta bevendo per la prima volta anticipa il dono che Egli farà di se stesso nel segno del pane e del vino alla tavola dell’Ultima cena, quando si preparerà a morire per noi. Maria, infatti, mentre segue con gli occhi questo agire del Figlio, afferra nella mano sinistra un pezzo di pane. Il bicchiere allude poi al calice amaro che nella notte del Getzemani lo stesso Padre Celeste porgerà al Figlio, perché bevendolo in obbedienza e libertà, porti a compimento il suo disegno di salvezza. Il medesimo vino è, infine, l’immagine del sangue che egli verserà sulla croce come vero Agnello dell’unico e definivo sacrificio che all’uomo riconquista la vita, come, con altrettanta chiarezza, manifesta il gesto di Giuseppe che, mentre accompagna il bere di Gesù, con la mano destra indica e tocca un coltello.
E la festa si compie, diventa per tutti. L’elegante finestra a sinistra conferisce allo spazio una dimensione più ampia di quella di una semplice casa: sembra già uno spazio liturgico dentro il quale si anticipa l’eco del «fate questo in memoria di me». La presenza degli angeli, poi, l’uno adorante e l’altro, in primo piano, che ci guarda mentre si accinge a servire, ci introduce al tempo eterno del banchetto del Regno, alla festa definitiva che non ha termine quando, invitati da Cristo alla sua stessa tavola, lo vedremo alzarsi, cingersi il grembiule e passare a servirci.
Mons. Domenico Sguaitamatti