Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

martedì 31 dicembre 2013

877 - 1 GENNAIO 2014

Bulgaria - Monastero di Rila
In quei giorni il Signore parlò a Mosè e disse:
“Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo:
“Così benedirete il Signore degli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto,
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace.”
(Numeri 6,22-27)

FELICE ANNO NUOVO!
HAPPY NEW YEAR !
FELIZ AÑO NUEVO !

876 - 47A GIORNATA MONDIALE PER LA PACE - 47ª JORNADA MUNDIAL DE LA PAZ

"Fraternità, fondamento e via per la pace".
Questo è il tema della 47a Giornata Mondiale per la Pace, la prima di Papa Francesco.
La Giornata mondiale della Pace è stata voluta da Paolo VI e viene celebrata il primo giorno di ogni anno. Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace viene inviato alle Chiese particolari e alle cancellerie di tutto il mondo, per richiamare il valore essenziale della pace e la necessità di operare instancabilmente per conseguirla.
Papa Francesco ha scelto come tema del suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace la fraternità. Sin dall’inizio del suo ministero di vescovo di Roma, il Papa ha sottolineato l’importanza di superare una«cultura dello scarto» e di promuovere la «cultura dell’incontro», per camminare verso la realizzazione di un mondo più giusto e pacifico.
La fraternità è una dote che ogni uomo e donna reca con sé in quanto essere umano, figlio di uno stesso Padre. Davanti ai molteplici drammi che colpiscono la famiglia dei popoli – povertà, fame, sottosviluppo, conflitti, migrazioni, inquinamenti, disuguaglianza, ingiustizia, criminalità organizzata, fondamentalismi -, la fraternità è fondamento e via per la pace.
La cultura del benessere fa perdere il senso della responsabilità e della relazione fraterna. Gli altri, anziché nostri «simili», appaiono antagonisti o nemici e sono spesso «cosificati». Non è raro che i poveri e i bisognosi siano considerati un «fardello», un impedimento allo sviluppo. Tutt’al più sono oggetto di aiuto assistenzialistico o compassionevole. Non sono visti cioè come fratelli, chiamati a condividere i doni del creato, i beni del progresso e della cultura, a partecipare alla stessa mensa della vita in pienezza, ad essere protagonisti dello sviluppo integrale ed inclusivo.
La fraternità, dono e impegno che viene da Dio Padre, sollecita all’impegno di essere solidali contro le diseguaglianze e la povertà che indeboliscono il vivere sociale, a prendersi cura di ogni persona, specie del più piccolo ed indifeso, ad amarla come se stessi, con il cuore stesso di Gesù Cristo.
In un mondo che accresce costantemente la propria interdipendenza, non può mancare il bene della fraternità, che vince il diffondersi di quella globalizzazione dell’indifferenza, alla quale Papa Francesco ha più volte accennato. La globalizzazione dell’indifferenza deve lasciare posto ad una globalizzazione della fraternità.
La fraternità impronti tutti gli aspetti della vita, compresi l’economia, la finanza, la società civile, la politica, la ricerca, lo sviluppo, le istituzioni pubbliche e culturali.
Papa Francesco, all’inizio del suo ministero, con un Messaggio che si pone in continuità con quello dei suoi Predecessori, propone a tutti la via della fraternità, per dare un volto più umano al mondo.
http://www.news.va/pt/news/139597

"La fraternidad, fundamento y camino para la paz".
Éste es el tema de la 47ª Jornada Mundial de la Paz, la primera del Papa Francisco.
La Jornada Mundial de la Paz fue iniciada por el Papa Pablo VI y se celebra el primer día de cada año. El Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz se envía a las Iglesias particulares y a las cancillerías del todo el mundo para destacar el valor esencial de la paz y la necesidad de trabajar incansablemente para lograrla.
El Papa Francisco ha elegido como tema de su primer Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz la fraternidad. Desde el inicio de su ministerio como Obispo de Roma, el Papa ha subrayado la importancia de superar una "cultura del descarte" y promover la «cultura del encuentro», para avanzar en la consecución de un mundo más justo y pacífico.
La fraternidad es una dote que todo hombre y mujer lleva consigo en cuanto ser humano, hijo de un mismo Padre. Frente a los múltiples dramas que afectan a la familia de los pueblos —pobreza, hambre, subdesarrollo, conflictos bélicos, migraciones, contaminación, desigualdad, injusticia, crimen organizado, fundamentalismos —, la fraternidad es fundamento y camino para la paz.
La cultura del bienestar lleva a la pérdida del sentido de la responsabilidad y de la relación fraterna. Los demás, en lugar de ser nuestros «semejantes»,se convierten en antagonistas o enemigos, y frecuentemente son cosificados. No es extraño que los pobres sean considerados un «lastre», un impedimento para el desarrollo. A lo sumo son objeto de una ayuda asistencialista o compasiva. No son vistos como hermanos, llamados a compartir los dones de la creación, los bienes del progreso y de la cultura, a participar en la misma mesa de la vida en plenitud, a ser protagonistas del desarrollo integral e inclusivo.
La fraternidad, don y tarea que viene de Dios Padre, nos convoca a ser solidarios contra la desigualdad y la pobreza que debilitan la vida social, a atender a cada persona, en especial de los más pequeños e indefensos, a amarlos como a uno mismo, con el mismo corazón de Jesucristo.
En un mundo cada vez más interdependiente, no puede faltar el bien de la fraternidad, que vence la difusión de esa globalización de la indiferencia, a la cual se ha referido en repetidas ocasiones el Papa Francisco. La globalización de la indiferencia debe ser sustituida por una globalización de la fraternidad.
La fraternidad toca todos los aspectos de la vida, incluida la economía, las finanzas, la sociedad civil, la política, la investigación, el desarrollo, las instituciones públicas y culturales.
El Papa Francisco, al inicio de su ministerio, con un Mensaje que está en continuidad con el de sus Predecesores, propone a todos el camino de la fraternidad, para dar un rostro más humano al mundo.
http://www.news.va/pt/news/139597

875 - 47TH WORLD DAY OF PEACE - 47EME JOURNEE MONDIALE DE LA PAIX

"Fraternity, the foundation and pathway to peace".
This is the theme of the 47th World Day of Peace, the first during the pontificate of Pope Francis.
The World Day of Peace was an initiative of Pope Paul VI and it is celebrated on the first day of each year. The Message for the World Day of Peace is sent to particular churches and chancelleries all around the world, drawing attention to the essential value of peace and the need to work tirelessly in order to attain it.
As the theme of his first Message for the World Day of Peace, Pope Francis has chosen Fraternity. Since the beginning of his Petrine Ministry, the Pope has stressed the need to combat the "throwaway culture" and to promote instead a "culture of encounter", in order to build a more just and peaceful world.
Fraternity is a dowry that every man and every woman brings with himself or herself as a human being, as a child of the one Father. In the face of the many tragedies that afflict the family of nations - poverty, hunger, underdevelopment, conflicts, migrations, pollution, inequalities, injustice, organized crime, fundamentalisms - fraternity is the foundation and the pathway to peace.
The culture of personal well-being leads to a loss of the sense of responsibility and fraternal relationship. Others, rather than being "like us", appear more as antagonists or enemies and are often treated as objects. Not uncommonly, the poor and needy are regarded as a "burden", a hindrance to development. At most, they are considered as recipients of aid or compassionate assistance. They are not seen as brothers and sisters, called to share the gifts of creation, the goods of progress and culture, to be partakers at the same table of the fullness of life, to be protagonists of integral and inclusive development.
Fraternity, a gift and task that comes from God the Father, urges us to be in solidarity against inequality and poverty that undermine the social fabric, to take care of every person, especially the weakest and most defenceless, to love him or her as oneself, with the very heart of Jesus Christ.
In a world that is constantly growing more interdependent, the good of fraternity is one that we cannot do without. It serves to defeat the spread of the globalization of indifference to which Pope Francis has frequently referred. The globalization of indifference must give way to a globalization of fraternity.
Fraternity should leave its mark on every aspect of life, including the economy, finance, civil society, politics, research, development, public and cultural institutions.
At the start of his ministry, Pope Francis issues a message in continuity with that of his predecessors, which proposes to everyone the pathway of fraternity, in order to give the world a more human face.
http://www.news.va/pt/news/139597

«Fraternité, fondement et chemin de la paix».
Tel est le thème de la 47ème Journée mondiale de la Paix, la première du Pape François.
La Journée mondiale de la Paix a été voulue par Paul VI et elle est célébrée le premier jour de chaque année. Le Message pour cette Journée mondiale est transmis aux Églises particulières et aux chancelleries du monde entier, pour rappeler la valeur essentielle de la paix et la nécessité d’œuvrer sans relâche pour l’obtenir.
Le Pape François a choisi la fraternité comme thème de son premier Message pour la Journée mondiale de la Paix. Dès le début de son ministère d’Évêque de Rome, le Pape a souligné l'importance de dépasser une « culture du rebut » et de promouvoir la « culture de la rencontre », en vue de la réalisation d'un monde plus juste et pacifique.
La fraternité est un don que chaque homme et chaque femme reçoit en tant qu'être humain, fils et fille d'un même Père. Face aux nombreux drames qui touchent la famille des peuples – pauvreté, faim, sous-développement, conflits, migrations, pollution, inégalité, injustice, criminalité organisée, fondamentalismes –, la fraternité est fondement et chemin de la paix.
La culture du bien-être fait perdre le sens de la responsabilité et de la relation fraternelle. Les autres, au lieu d’être nos « semblables »,apparaissent comme des antagonistes ou des ennemis et ils sont souvent « chosifiés ».Il n'est pas rare que les pauvres et les nécessiteux soient considérés comme un « fardeau », un obstacle au développement. Dans le meilleur des cas, ils reçoivent une aide sous forme d’assistanat ou sont l'objet de compassion. C'est-à-dire qu'ils ne sont plus considérés comme des frères,appelés à partager les dons de la création, les biens du progrès et de la culture, à participer en plénitude à la même table de la vie, à être les protagonistes du développement intégral et inclusif.
Don et engagement venant de Dieu le Père, la fraternité encourage à être solidaires contre l'inégalité et la pauvreté qui affaiblissent la vie sociale, à prendre soin de chaque personne – en particulier du plus petit et sans défense – à l'aimer comme soi-même, avec le cœur-même de Jésus-Christ.
Dans un monde qui développe constamment son interdépendance, ne doit pas manquer le bien de la fraternité, qui peut vaincre l’expansion de cette mondialisation de l'indifférence, à laquelle le Pape François a plusieurs fois fait allusion. La mondialisation de l’indifférence doit laisser la place à une mondialisation de la fraternité.
La fraternité doit marquer de son empreinte tous les aspects de la vie, y compris l'économie, les finances, la société civile, la politique, la recherche, le développement, ainsi que les institutions publiques et culturelles.
Au début de son ministère, le Pape François, par un message qui se situe en continuité avec celui de ses Prédécesseurs, propose à tous le chemin de la fraternité, pour donner au monde un visage plus humain.
http://www.news.va/pt/news/139597

874 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2013

Intenzione generale: "Perché i bambini vittime dell'abbandono e di ogni forma di violenza possano trovare l'amore e la protezione di cui hanno bisogno".

Intenzione missionaria: "Perché i Cristiani, illuminati dalla luce del Verbo incarnato, preparino l'umanità all'avvento del Salvatore".

Intenzione dei vescovi: "Perché la Chiesa sia la famiglia in cui tutti gli uomini si sentono attesi e accolti per incontrare l'amore di Dio Padre e sperimentare la salvezza".

mercoledì 25 dicembre 2013

873 - MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buongiorno e buon Natale!
Faccio mio il canto degli angeli, che apparvero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù. Un canto che unisce cielo e terra, rivolgendo al cielo la lode e la gloria, e alla terra degli uomini l’augurio di pace.
Invito tutti ad unirsi a questo canto: questo canto è per ogni uomo e donna che veglia nella notte, che spera in un mondo migliore, che si prende cura degli altri cercando di fare umilmente il proprio dovere.

Gloria a Dio!

A questo prima di tutto ci chiama il Natale: a dare gloria a Dio, perché è buono, è fedele, è misericordioso. In questo giorno auguro a tutti di riconoscere il vero volto di Dio, il Padre che ci ha donato Gesù. Auguro a tutti di sentire che Dio è vicino, di stare alla sua presenza, di amarlo, di adorarlo.
E ognuno di noi possa dare gloria a Dio soprattutto con la vita, con una vita spesa per amore suo e dei fratelli.

Pace agli uomini.

La vera pace – noi lo sappiamo – non è un equilibrio tra forze contrarie. Non è una bella “facciata”, dietro alla quale ci sono contrasti e divisioni. La pace è un impegno di tutti i giorni, ma, la pace è artigianale, che si porta avanti a partire dal dono di Dio, dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo.
Guardando il Bambino nel presepe, bambino di pace, pensiamo ai bambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma pensiamo anche agli anziani, alle donne maltrattate, ai malati… Le guerre spezzano e feriscono tante vite!
Troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi il conflitto in Siria, fomentando odio e vendetta. Continuiamo a pregare il Signore perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero. E invito anche i non credenti a desiderare la pace, con il loro desiderio, quel desiderio che allarga il cuore: tutti uniti, o con la preghiera o con il desiderio. Ma tutti, per la pace.
Dona pace, bambino, alla Repubblica Centroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordia nel Sud-Sudan, dove le tensioni attuali hanno già provocato troppe vittime e minacciano la pacifica convivenza di quel giovane Stato.
Tu, Principe della pace, converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo. Guarda alla Nigeria, lacerata da continui attacchi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi. Benedici la Terra che hai scelto per venire nel mondo e fa’ giungere a felice esito i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi. Sana le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati.
Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome. Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, specialmente nel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Fa’ che i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto. Tragedie come quelle a cui abbiamo assistito quest’anno, con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più!
O Bambino di Betlemme, tocca il cuore di quanti sono coinvolti nella tratta di esseri umani, affinché si rendano conto della gravità di tale delitto contro l’umanità. Volgi il tuo sguardo ai tanti bambini che vengono rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, e a quanti vengono trasformati in soldati, derubati della loro infanzia.
Signore del cielo e della terra, guarda a questo nostro pianeta, che spesso la cupidigia e l’avidità degli uomini sfrutta in modo indiscriminato. Assisti e proteggi quanti sono vittime di calamità naturali, soprattutto il caro popolo filippino, gravemente colpito dal recente tifone.

Cari fratelli e sorelle, in questo mondo, in questa umanità oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura di questo. Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Abbiamo bisogno che il nostro cuore si commuova. Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Abbiamo bisogno delle sue carezze. Dio è grande nell’amore, a Lui la lode e la gloria nei secoli! Dio è pace: chiediamogli che ci aiuti a costruirla ogni giorno, nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nazioni, nel mondo intero. Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio.
papa Francesco, 25 dicembre 2013

martedì 24 dicembre 2013

872 - LA NATIVITA' DI GIOTTO


La Natività di Gesù è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compresa nelle Storie di Gesù del registro centrale superiore, nella parete destra guardando verso l'altare.
Come fonti delle scene cristologiche Giotto usò i Vangeli, lo Pseudo Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Un paesaggio roccioso fa da sfondo alla scena della Natività, tutta incentrata in primo piano. Maria è infatti distesa su un declivio roccioso, coperto da una struttura lignea, ed ha appena partorito Gesù, mettendolo, già fasciato, nella mangiatoia, aiutata da un'inserviente, davanti alla quale spuntano il bue e l'asinello. Giuseppe sta accovacciato in basso dormiente, come tipico dell'iconografia, a sottolineare il suo ruolo non attivo nella procreazione; la sua espressione è incantata e sognante. Il manto di Maria, un tempo azzurro lapislazzuli steso a secco, è andato oggi in larga parte perduto, scoprendo la stesura sottostante della veste rossa. A sinistra si svolge l'annuncio ai pastori, due, raffigurati di spalle vicini al proprio gregge, mentre dall'alto un angelo li istruisce sull'evento miracoloso. Altri quattro angeli volano sopra la capanna e rivolgono gesti di preghiera al fanciullo nato e a Dio nei cieli.
Originale è il taglio prospettico dell'architettura, capace di rinnovare la statica tradizione bizantina dell'iconografia. Solide sono le figure, soprattutto quella della Madonna e quella di Giuseppe, che fanno pensare a modelli scultorei, di Giacomo Pisano. La tensione della Madonna nell'azione e l'attenzione che essa rivolge al figlio sono brani di grande poesia, che sciolgono in un'atmosfera umana e affettuosa il racconto sacro. L'inserimento delle figure nello spazio è efficacemente risolta e gli atteggiamenti sono spontanei e sciolti, anche negli animali.
Delicate sono le tonalità dei colori, che spiccano sull'azzurro del cielo (in questo caso danneggiato), armonizzandosi con le altre scene della cappella.

871 - CELEBRIAMO LA PASQUA DEL NATALE

Sin dall'inizio la Comunità cristiana ha celebrato ogni domenica la Pasqua del Signore, come appuntamento primordiale del suo cammino, e questo incontro settimanale ha dato poi significato alle altre festività dell'anno liturgico.
Nel secolo 4° i cristiani cominciarono a celebrare la nascita di Gesù il 25 dicembre per far propria e trasformare la festa che nell'impero romano era dedicata al sole in occasione del solstizio d'inverno. Invece di festeggiare la nascita del "sole invincibile", passarono a celebrare la nascita di Gesù, luce del mondo.
La spiritualità del Natale ci aiuta a richiamare l'impegno tipicamente pasquale di passare dalle tenebre alla luce, da una vita spenta alla vita nuova della resurrezione.
Alcuni riti antichi chiamavano la festa del Natale "celebrazione pasquale della nascita del Signore". Di fatto la festa del Natale riprende la celebrazione pasquale in un modo originale: adoriamo il Cristo come Signore risorto che si manifesta nei tratti del bambino nato a Betlemme.
Nel Natale, Gesù si rivela come colui che ha assunto pienamente la condizione umana ed è risorto. Il Natale non è solo la memoria della nascita di Gesù, ma dell'umanità di Dio. Non ricorda solo il giorno in cui è nato Gesù, ma il fatto che "il Verbo sì è fatto carne", Dio si è fatto uomo per noi. Perciò vivere la spiritualità del Natale significa anche riconciliarci totalmente con la nostra realtà umana. Riconoscere Gesù "disteso sulla paglia della mangiatoia" è anche reincontrare la nostra
maniera di essere, le nostre fragilità e problemi, unendo a Lui ciò che di più profondo vi è nella nostra condizione umana.
Occorre accettare la nostra umanità, saperla valutare e, accogliere Lui, Incarnato e Risorto, perché la trasformi liberandola dal limite del peccato.
Questo è un impegno non solo natalizio, ma di ogni giorno. Allora incontriamoci a Natale attorno all'altare del Signore, ma soprattutto incontriamoci ogni domenica, pasqua settimanale, per ascoltare quella Parola e per spezzare quell'unico Pane che soli hanno la possibilità di renderci liberi. Perciò…
... Buon Natale e Buona Domenica!
padre Luigi Bazzani, parroco 

domenica 8 dicembre 2013

870 - PREGHIERA ALL'IMMACOLATA

Vergine Santa e Immacolata,
a Te, che sei l’onore del nostro popolo
e la custode premurosa della nostra città,
ci rivolgiamo con confidenza e amore.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
Il peccato non è in Te.
Suscita in tutti noi un rinnovato desiderio di santità:
nella nostra parola rifulga lo splendore della verità,
nelle nostre opere risuoni il canto della carità,
nel nostro corpo e nel nostro cuore abitino purezza e castità,
nella nostra vita si renda presente tutta la bellezza del Vangelo.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
La Parola di Dio in Te si è fatta carne.
Aiutaci a rimanere in ascolto attento della voce del Signore:
il grido dei poveri non ci lasci mai indifferenti,
la sofferenza dei malati e di chi è nel bisogno non ci trovi distratti,
la solitudine degli anziani e la fragilità dei bambini ci commuovano,
ogni vita umana sia da tutti noi sempre amata e venerata.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
In Te è la gioia piena della vita beata con Dio.
Fa’ che non smarriamo il significato del nostro cammino terreno:
la luce gentile della fede illumini i nostri giorni,
la forza consolante della speranza orienti i nostri passi,
il calore contagioso dell’amore animi il nostro cuore,
gli occhi di noi tutti rimangano ben fissi là, in Dio, dove è la vera gioia.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
Ascolta la nostra preghiera, esaudisci la nostra supplica:
sia in noi la bellezza dell’amore misericordioso di Dio in Gesù,
sia questa divina bellezza a salvare noi, la nostra città, il mondo intero.
Amen.
papa Francesco

sabato 7 dicembre 2013

869 - IMMACOLATA CONCEZIONE

 
Francisco de Zurbaran, Immacolata Concezione, 1630
L’Immacolata Concezione è un dipinto, eseguito nel 1630, ad olio su tela dal pittore spagnolo Francisco de Zurbarán (1598-1664), proveniente dal Colegio Parroquial de Nuestra Señora del Carmen a Jadranque e conservato nel museo Diocesano di Siguenza.
Il dipinto rappresenta: Maria Vergine con l'aspetto dell’ Immacolata Concezione, mentre appare in cielo, come una giovane donna, con il vestito bianco e manto azzurro, la luna ai piedi e coronata di dodici stelle, come viene descritta nell' Apocalisse. Il suo sguardo, rivolto in basso verso l’umanità, e il suo atteggiamento fiero ed altero esprimono il suo distacco dalla natura umana.
in basso a sinistra, la città di Siviglia in una visione idealizzata.
Da notare: la corona di dodici stelle, s'ispira alla descrizione dell'Apocalisse: nell'interpretazione simbolica di Maria come allegoria della Chiesa, le stelle raffigurano gli Apostoli.

868 - MARIA, LA DONNA DELL'AVVENTO

Straordinariamente quest'anno la domenica di Avvento viene concessa alla Concezione Immacolata della Vergine e questo ci da' l'occasione di ravvivare ulteriormente il tempo dell'attesa del Signore, perché appunto la "Piena di grazia" ci esorta al rinnovamento interiore e alle aspettative della gioia natalizia. Maria è Colei che ci protende tutti verso l'arrivo del Signore, poiché lei stessa lo ha atteso con fervente pazienza man mano che si formava nel suo grembo per poi instaurare un rapporto spontaneo di prima discepola nonché "figlia del suo Figlio" (Dante).
In termini più semplici, Maria è la donna dell'Avvento effettivo e consolidato perché in lei vi è stata l'attesa fervorosa del parto straordinario del Figli di Dio nella carne e perché l'attesa si è trasformata in nei nella possibilità di vivere intensamente la fede nel Signore Bambino che nello Spirito Santo il Padre le stava affidando.
"Piena di Grazia" è l'aggettivo con cui l'angelo si rivolge a Maria iniziando la sua rivelazione divina. Esso, dall'originale greco Kekaritomene significa letteralmente: "che è stata resa oggetto di ogni benemerenza e di ogni favore"; che ha ottenuto assoluta dignità, perfezione e illibatezza. "Piena di grazia" vuol dire ricolma di ogni beneficio divino, anche fra quelli dei quali gli altri uomini non possono disporre.
Dio ha reso questa esile fanciulla oggetto di ogni sua attenzione, luogo della sua suprema predilezione, nel quale prendono corpo nell'umano tutte le meraviglie del divino. Di conseguenza Maria è stata resa anche libera da ogni macchia di peccato, Immacolata. Come insegnava papa Pio IX nel Dogma del 1854, in forza di questa "pienezza" Dio ha reso immune Maria dalla comune contaminazione del peccato originale. A differenza di tutti gli altri uomini che sotto tale peccato entrano nel mondo e necessitano della grazia battesimale per potersi da esso riscattare, Maria è stata preservata anzitempo da codesta grave colpa: "...nel primo istante della sua Concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, Maria è stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale e a seguito del dono dello Spirito di santità e in virtù della sequela di Cristo... ella non commise alcun peccato." In forza dei meriti di Cristo e in vista dell'incarnazione del Verbo nel suo grembo, Maria non poteva non essere resa immune dalla colpa originaria del peccato ancor prima di essere concepita.
Dio non avrebbe potuto assumere carne umana in un grembo contaminato da una minima imperfezione e per questo non poteva che predisporre per sé un grembo puro, casto e immacolato.
Di conseguenza Maria doveva essere stata preservata anche dal peccato originale, per poi conservarsi immune da qualsiasi altra colpa, anche veniale, per tutto il resto della sua esistenza terrena, essendo questa contrassegnata dalla missione di essere Madre del Verbo. La piena di grazia infatti non solamente è stata concepita senza alcun peccato, ma lontano dal peccato ha anche vissuto e perseverato.
Il Kekaritomene = piena di grazia mentre ci invita ad esaltare Maria come Colei grazie alla quale prende corpo il dispiegarsi della storia della salvezza, ci ragguaglia sulla gratuità con cui Dio entra in relazione di amore con l'uomo, lo rende suo interlocutore e oggetto di particolari privilegi, anch'egli beneficiario della grazia.
La grazia è un intervento singolare di Dio che esalta e rinnova, al quale corrisponde l'atteggiamento libero dell'uomo. E' un intervento gratuito di Dio che rende l'uomo libero ed elevato e lo predispone all'incontro e alla comunione con sé. Scrive De Lubac: "Se siamo cristiani, non possiamo dimenticare quella piccola cosa molto semplice e molto popolare... il peccato. E' impossibile non tenerne conto, se si cerca seriamente la liberazione dell'uomo". Ma appunto perché l'uomo è peccatore viene raggiunto dalla grazia, con la quale Dio rende capaci di libertà e di amore nei suoi riguardi. Appunto perché invischiati dal peccato e dalla concupiscienza noi siamo resi in grado di orientare la volontà verso il Bene fuggendo il male con orrore (Rm 12, 9). Proprio perché coscienti della mostra precarietà spirituale, siamo messi in grado di reagire ad essa con sovrabbondanza di coerenza e di forza evangelica. Come direbbe Paolo: "Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazi a."(Rm 5, 21). Con essa si instaura in noi la vita di Dio e siamo costantemente resi capaci di vivere secondo Dio e di elevarci al bene soprannaturale.
E la grazia è sinonimo di libertà. In essa Dio opera un affrancamento dai vincoli del peccato ed esaltando lo spirito ci mette in condizioni di elevarci verso di lui.
Lasciarsi liberare da Dio è in fondo la vocazione principale dell'uomo, che è chiamato semplicemente ad accogliere il dono della grazia nella vita sacramentale e nell'itinerario della perfezione. Accettare il dono di Dio, corrispondervi apertamente e orientare la volontà verso il Signore è quanto viene richiesto costantemente all'uomo che voglia sentirsi ed essere realmente figlio di Dio, ma questo non può che essere concepito in una dimensione di assoluta libertà che scaturisce dalla liberazione.
In Maria la grazia e la libertà assumono un valore di simbiosi e di complementarietà, poiché avviene esattamente questo: 1) nell'Angelo Gabriele Dio le annuncia che lei è stata resa piena di grazia, cioè libera ed esaltata, resa oggetto di ogni predilezione e di ogni beneficio da parte di Dio. In Maria di fatto agirà lo Spirito Santo e ella sarà immersa nel mistero della Trinità 2) Maria si atteggia con un fare di disinvoltura e di libertà assoluta, per cui il suo colloquio con Dio nella presenza angelica si trasforma in un rapporto di fiducia e di reciproca stima, che sfocerà poi in una decisione di carità concreta ed eroica. In parole povere, la piena di grazia è stata resa libera da Dio e nella libertà accetterà questo dono nel corso di tutta la sua impegnatissima vita di testimonianza e di fede.
Nella Vergine Maria scopriamo il privilegio di essere stati toccati anche noi dalla grazia santificante nel Battesimo e di venire costantemente raggiunti dalla grazia attuale che ci sprona alla conversione e alla comunione con lui. "Ti basta la mia grazia" rispondeva Dio a Paolo mentre questi gli confidava che un emissario di Satana era intento a schiaffeggiarlo (2 Cor 12, 9).
Avvantaggiati da tali supporti divini, abbiamo tutti gli strumenti per radicarci nella trasformazione interiore e nella radicale conversione che è propria dell'Avvento, il tempo che predispone alla gioia del Messia di Betlemme. La piena di grazia ci aiuta quindi a vivere in pienezza questo periodo privilegiato che comporta che facciamo anche noi uso della grazia. Esso ci arrecherà la conseguenza gioiosa della gioia nella novità del Bambino Messia, frutto dello stesso grembo della Vergine.
padre Gian Franco Scarpitta

sabato 30 novembre 2013

867 - III DOMENICA DI AVVENTO, “LE PROFEZIE ADEMPIUTE”

La prima impressione è che il Vangelo (Mt. 11,2-15) di oggi sia diviso in due parti, ma unico è l’insegnamento: Gesù è l’Atteso, colui che ha portato a compimento le parole dei profeti e tutta la Scrittura.
Gesù è l’Atteso da Giovanni, che forse è preso da un momento di dubbio, d’incertezza. Il suo impegno a proclamare la venuta del Messia, a «preparare le strade», come aveva detto il profeta Isaia (40,3), sembra non produrre frutto, anzi gli ha guadagnato il carcere e la morte che sente vicina: conosce bene l’ira di Erode e le arti maliarde di Erodiade e di sua figlia. Forse si domanda perché Gesù non si decide a instaurare quel Regno tanto atteso, che avrebbe scalzato i potenti dai troni e innalzato gli umili, quel regno di giustizia e di pace, che attendeva e per cui aveva dato la vita con la sua predicazione. Può succedere anche a Giovanni, come succede a tutti, di interrogarsi, di domandarsi se per caso ci si è illusi, se ci si è sbagliati. Forse per questo dubbio che lo rattrista, Giovanni manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se sia lui l’Atteso, o se devono aspettarne un altro.
Gesù non si stupisce dei dubbi di Giovanni come anche dei nostri dubbi, delle nostre incertezze. Gesù non teme le domande che gli facciamo, seppure fossero domande scomode. Sa come rispondere e capisce che chi si interroga è già alla ricerca, perché solo gli indifferenti non si pongono domande: chi ama, cerca di capire sempre meglio l’Amato.
Gesù risponde ai discepoli di Giovanni non con lunghi discorsi, ma con i fatti: indica i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, i poveri che gli sono vicini.
Sa che Giovanni capirà: proprio il profeta Isaia, cui Giovanni si è ispirato nella sua vocazione, aveva detto che avrebbero riconosciuto il Messia dal fatto che i sordi avrebbero udito e i ciechi avrebbero visto, gli umili e i poveri avrebbero gioito (cfr Isaia 29,18; 42), gli zoppi avrebbero saltato e i muti cantato inni di gioia (cfr Isaia 35,4-6), perché Dio lo mandava a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare i cuori spezzati, a liberare gli schiavi (cfr Isaia 61,1). Lo stesso metodo Gesù usa con le folle, che attendevano il Messia con lo stesso desiderio di Giovanni. Fa capire loro che è lui l’Atteso, perché ha compiuto le Scritture e proprio Giovanni il Battista ne è la prova.
Il profeta Malachia aveva profetizzato che il segno della venuta del Messia sarebbe stato il ritorno di Elia, che avrebbe convertito i cuori dei padri verso i figli e viceversa (Malachia 3,1 e 23-24).
Parlando alle folle Gesù dice proprio questo: è Giovanni colui di cui ha parlato Malachia; è Giovanni il vero Elia e, dunque, lui, Gesù, è il Messia atteso! Giovanni capirà alla luce della parola di Dio, così come la folla: Gesù ha realizzato le profezie.
Serve anche a noi: impariamo a leggere alla luce della parola di dio le vicende del mondo, allora ne comprenderemo la verità e sapremo come agire, perché Dio – ed è l’ultimo insegnamento del Vangelo di oggi – è fedele: ciò che aveva promesso si è avverato in Gesù. Sarà sempre così, perché Dio è fedele e «forte è il suo amore per noi» (Salmo 117).
Monsignor Ennio Apeciti

866 - EVANGELII GAUDIUM - 5

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Voce profetica per la pace
Riguardo al tema della pace, il Papa afferma che è “necessaria una voce profetica” quando si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spazio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiungano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).
Una Chiesa che dialoga
“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchimento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).
Evangelizzatori con Spirito
L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consapevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” (288). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - fine.

865 - EVANGELII GAUDIUM - 4

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Una Chiesa povera per i poveri
Ricorda, quindi, “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178). Ribadisce il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale”. “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”. E cita Giovanni Paolo II laddove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri” (187). “A volte si tratta di ascoltare il grido … dei popoli più poveri della terra, perché ‘la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli’. Deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi” (190). Il Papa denuncia la “cattiva distribuzione dei beni e del reddito” (191). Quindi lancia un monito: “Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ‘ai difensori «dell'ortodossia» si rivolge a volte il rimprovero di passività, d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono’” (194). In questo contesto “c'è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (195). “Per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). Il Papa poi afferma che “la peggior discriminazione che soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (200). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri … non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” (202).
I politici abbiano cura dei deboli
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” – scrive il Papa - “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!” (205). Invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati”. Riguardo ai migranti esorta “i Paesi ad una generosa apertura, che, al posto di temere la distruzione dell'identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali” (210). Il Papa parla “di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta delle persone” e delle nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza” (212).
Riconoscere dignità umana dei nascituri: aborto non è progressista
“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214). Poi, l’appello a rispettare tutto il creato: “Piccoli, però forti nell’amore di Dio, come San Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

864 - EVANGELII GAUDIUM - 3

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:

Dio ci liberi da una Chiesa mondana
Denuncia quindi “la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”: consiste “nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (93). Questa mondanità si esprime in due modi: “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo” e “il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che … fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché … sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (94). In altri “si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”. In altri ancora, la mondanità “si esplica in un funzionalismo manageriale … dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione” (95). “E’ una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).
Più spazio nella Chiesa a laici, donne e giovani
Altra denuncia: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” per “invidie e gelosie”. “Alcuni … più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale” (98). Il Papa sottolinea quindi la necessità di far crescere “la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa”. Talora, “un eccessivo clericalismo” mantiene i laici “al margine delle decisioni” (102). “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società”, ma “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”. Occorre garantire la presenza delle donne “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”. “Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi” (104). Poi, il Papa rileva che i giovani devono avere “un maggiore protagonismo” (106). Riguardo alla scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si riscontra in molti luoghi, afferma che “spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. Nello stesso tempo, “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico” (107).
La Chiesa ha un volto pluriforme
Affrontando il tema dell’inculturazione, il Papa ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che “la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità” mostrando la bellezza di un “volto pluriforme”. (116) “Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (117). Il testo ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122). “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!” (124). Il Papa incoraggia “il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica” ma li invita ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino” (133).

Omelia: saper dire parole che fanno ardere i cuori
A questo punto, il Papa si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). Innanzitutto, “chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio” (137). “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138). Bisogna saper dire "parole che fanno ardere i cuori", rifuggendo da una "predicazione puramente moralista e indottrinante" (142). “La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione”, rinunciando anche “ad altri impegni, pur importanti”. “Un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). “Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio”. “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (159).
Ruolo fondamentale del “kerygma” “Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’”. Sulla bocca del catechista risuoni sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”(164). Ci sono “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (165). Il Papa indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (169).  (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

863 - EVANGELII GAUDIUM - 2

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Concentrarsi sull’essenziale
Riguardo all’annuncio, afferma che è necessario concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa ... le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). Circa il rinnovamento, afferma che occorre riconoscere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43).
Una Chiesa con le porte aperte
“La Chiesa – scrive il Papa – è chiamata ad essere sempre la casa aperta del padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (47). Quindi ribadisce quanto diceva a Buenos Aires: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli” senza l’amicizia di Gesù (49).
Sistema economico attuale ingiusto alla radice
Parlando di alcune sfide del mondo attuale, denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). C’è la “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale”, di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Il documento affronta poi gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza. In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista” (61).
Individualismo postmoderno snatura vincoli familiari
La famiglia, “cellula fondamentale della società” – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66), il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”(67).
Tentazioni degli operatori pastorali
Il testo affronta poi le “tentazioni degli operatori pastorali”. Il Papa, afferma, “come dovere di giustizia, che l’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore” ((76). Ma “si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità” . Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83). Tuttavia, il Papa invita con forza a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84). Nei deserti della società sono molti i segni della “sete di Dio”: c’è dunque bisogno di persone di speranza, “persone-anfore per dare da bere agli altri” (86). “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (88). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -
 

862 - EVANGELII GAUDIUM - 1

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:

Nuova tappa evangelizzatrice caratterizzata dalla gioia
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Così inizia l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione” (25), vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2). “Anche i credenti corrono questo rischio” (2), perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (6): un evangelizzatore non dovrebbe avere “una faccia da funerale” (10). E' necessario passare "da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria" (15).
Riforma delle strutture ecclesiali
Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi” (11). L’appello rivolto a tutti i cristiani è quello di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”: “tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria” (20). Si tratta “di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e che spinge a porsi in un “permanente stato di missione” (25). E’ necessaria una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Partendo dalle parrocchie, il Papa nota che l’appello al loro rinnovamento “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente” (28). Le altre realtà ecclesiali “sono una ricchezza della Chiesa”, ma devono integrarsi “con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29).
Conversione del papato
Quindi aggiunge: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Giovanni Paolo II “chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso”. “Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (32). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

861 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2013

Generale: "Perché i bambini vittime dell'abbandono e di ogni forma di violenza possano trovare l'amore e la protezione di cui hanno bisogno".
.
Missionaria: "Perché i cristiani, illuminati dalla luce del Verbo incarnato, preparino l'umanità all'avvento del Salvatore".

sabato 23 novembre 2013

860 - I FIGLI DEL REGNO

Luca, indicando con precisione l’anno di regno di Tiberio e i nomi di persona e di luogo, ci ricorda che la storia di Gesù non è un romanzo, ma una verità. Il cristianesimo non si basa su miti e personaggi di nebulosi racconti di misteriosi antenati, ma su una persona precisa:Gesù, veramente vissuto in un tempo e in un luogo precisi e dimostrabili.
Anche per questo Luca cita Isaia: al tempo dei Vangeli più una persona era antica, più le sue parole erano vere. In fondo anche noi diciamo che «il tempo è galantuomo»: la verità dura, mentre la menzogna, come il fango, si deposita sul fondo del lago della storia. Proprio perché le parole di Isaia erano vere, Giovanni andò nel deserto a «preparare la via del Signore» (Isaia 40,3-5), che sarebbe venuto per tutti gli uomini: «Ogni uomo» avrebbe visto la salvezza di Dio.
Per questo Luca presenta tutte le categorie sociali: le folle, i pubblicani, i soldati... tutti! Ad essere precisi, solo“alcuni” dei pubblicani e dei soldati accorrono. Luca da una parte ci dice che tutti sono alla ricerca di Gesù e, dall’altra, ci ricorda che non tutti sono disposti ad accogliere la parola di Dio.
Non tutti lo cercano, ma Giovanni risponde a tutti, agli onesti (le folle) e agli sfruttatori e traditori del loro popolo (com’erano i pubblicani) e ai violenti, spesso assassini, com’erano i soldati, perché in ogni caso tutte le categorie umane sono in ricerca; c’è nel cuore dell’essere umano un insopprimibile desiderio di Dio. Non a caso papa Francesco, a Eugenio Scalfari che gli ha detto di non credere nell’anima, ha risposto: «Non ci crede ma ce l’ha. Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?».«Che cosa dobbiamo fare?».
La domanda ripetuta tre volte e identica per tutte le categorie di persone (folla, pubblicani, soldati) allora acquista un senso ancora più profondo. La risposta di Giovanni ha una premessa: occorre non essere ipocriti. Si riconoscono perché per loro la fede è solo una pratica esteriore: si fanno battezzare, ma nel loro cuore non sono convinti di averne bisogno; si sentono già a posto, si ritengono gli eletti di Dio perché hanno «Abramo per padre». Giovanni quasi li aggredisce.Forse questo è il vero peccato: comportarsi bene, senza convinzione interiore. detto questo, la risposta di Giovanni è una sola, valida per tutti: fai bene il tuo dovere; vivi bene la tua vita; sii attento agli altri.
Chi ha due tuniche ne dia una a chi non l’ha; i pubblicani siano onesti e non derubino i loro fratelli;
i soldati non siano violenti e non saccheggino le case dei poveri, ma si accontentino del loro salario.
A questi uomini in ricerca, Giovanni ricorda che la fede e la vita si sostengono a vicenda:la fede cresce se la metti in pratica, e una vita secondo Dio rende più facile il credere in lui.
Mons. Ennio Apeciti

sabato 16 novembre 2013

859 - IL SIGNIFICATO DELL'AVVENTO


Avvento, cioè venuta e attesa, attesa di Colui che deve venire ma anche, per noi Monache, tempo di silenzio per sgombrare il cuore e la mente da rumori e pensieri che occupano la strada di Colui che deve venire; per ordinare i nostri desideri alla sua venuta; per imparare nuovamente a sorprenderci della ricchezza del quotidiano in cui Lui viene a dimorare… Silenzio dunque, ma anche canto con melodie riconoscibili fra mille e che ci fanno riascoltare le parole degli antichi profeti e il loro annuncio. (Abbiamo ancora bisogno di profeti? Sappiamo ancora riconoscerli ed ascoltarli?).
Un’antifona tra tutte ci è cara, quasi iscrivesse nel nostro cuore la dolcezza della sua melodia e la fiduciosa attesa delle sue parole: Rorate coeli de super, et nubes pluant iustum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem (Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza — Isaia 45, 8).
Parole che narrano della speranza quotidiana di un contadino: i cieli che si aprono a benedire con la pioggia il suo lavoro, il seme che germoglia… Ma non solo. L’annuncio che si serve dei verbi e degli avvenimenti della quotidiana speranza degli uomini ha per oggetto non un buon raccolto o un conto in banca, ma “il giusto” e “il Salvatore”.
È possibile attendere nei gesti della nostra quotidianità, nei desideri e nelle speranze un Salvatore? Si può aprire il cielo del nostro oggi perché vengano sulle nostre strade, accanto ai nostri passi, la giustizia e la salvezza? E che genere di salvezza può essere quella impastata di fango come noi, quella carica di fatica, di povertà, di preoccupazioni? Quella che cresce come germoglio nascosto accanto agli altri, quella che si affaccia tra le nuvole oscure del nostro peccato, del nostro limite, le nuvole appunto che ci sembrano spegnere il nostro sguardo rivolto al cielo?
Deve essere un Salvatore piccolo come noi, che compie gesti piccoli come i nostri — forse, anzi, proprio i nostri — che cammina, studia e lavora, incontra persone e fa amicizie, ha progetti che a volte riescono e altre volte no. Uno come noi che però sa vedere dentro ogni miseria e piccolezza, oltre ogni gioia e bellezza, uno squarcio di cielo, un raggio di amore che vince ogni solitudine ed invita alla comunione: “Venite a me, voi tutti” (Matteo 11, 28)…
Questo Avvento sia allora per noi, per tutti, “un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità” (Papa Francesco, Lumen Fidei 30), un cammino di fede che allarga il nostro cuore nella speranza e nella carità.
Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese

venerdì 8 novembre 2013

858 - CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Il brano di Matteo 25,31-46 conclude il discorso sulla venuta del Figlio dell’uomo (Matteo 24-25) e si può dividere in tre parti. La prima: vv. 31-33, introduce la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo con il raduno universale davanti al suo trono e la separazione tra i buoni (pecore) alla sua destra e i cattivi (capre) alla sua sinistra. Nella seconda: vv. 34-45, possiamo distinguere il dialogo del re con i chiamati alla beatitudine per aver compiuto le opere di carità e di misericordia verso i poveri a lui identificati (vv. 34-40) e il dialogo con quelli posti alla sua sinistra destinati alla perdizione e alla rovina eterna per non aver compiuto le sopra citate opere di carità verso i poveri (i piccoli) e, in definitiva, verso di lui (vv. 41-45). Il v. 46 rappresenta la conclusione che descrive l’effettiva esecuzione delle sentenze: l’eterna rovina-la vita eterna. 

In questa domenica, conclusiva dell’anno liturgico, viene messa in rilievo la regalità che il Signore Gesù ha acquistato sul mondo, sulla storia e su ogni realtà esistente a motivo della sua morte, con la quale ha affrontato e vinto il potere del male che teneva proditoriamente in suo pugno l’uomo e l’intera creazione uscita dalla mano di Dio.
Con la sua risurrezione, inoltre, ha fatto brillare la vittoria della vita come speranza certa per i credenti e ha ricevuto dal Padre «ogni potere in cielo e in terra», compreso quello di giudicare, ossia di escludere o di ammettere nella vita beata del Regno dei Cieli.
Il testo evangelico, a tale riguardo, ci trasporta nelle realtà ultime e definitive che attendono ogni uomo, tra le quali spicca il giudizio affidato al Figlio dell’uomo, ossia al Signore Gesù Cristo vittorioso sul male, sul peccato e sulla morte. 
L’Antico Testamento, come risulta dalla pagina profetica, conosce la misteriosa figura del Figlio dell’uomo come proveniente dalla sfera celeste e al quale il vegliardo che siede sul trono circondato da miriadi di angeli (Lettura: Daniele 7,9-10), nel quale si deve riconoscere Dio, consegna un potere eterno «che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto» (v.14). Non sorprende, perciò che, per indicare l’ora del giudizio finale, l’evangelista applichi a Gesù il titolo di Figlio dell’uomo, altamente espressivo della sua sovranità sovratemporale, e lo descriva ricorrendo al linguaggio vetero-testamentario idoneo a parlare delle realtà ultime qual è, appunto, il giudizio supremo e inappellabile che avviene attorno al suo trono circondato dalla corte celeste e davanti al quale «verranno radunati tutti i popoli» (Vangelo: Matteo 25,31-32).
Gesù stesso, del resto, si attribuirà il titolo di Figlio dell’uomo, a indicare il “potere” che verrà posto nelle sue mani, in seguito agli eventi pasquali della sua morte e risurrezione, che lo proclamano davanti al mondo e alla storia quale egli è in senso pieno ed esclusivo: Figlio di Dio. Nella sua Pasqua, infatti, si manifesta al livello più alto il suo amore filiale per il Padre e il suo amore incandescente per l’umanità piagata e umiliata dal male e dal peccato.
Si comprende, perciò, come il giudizio abbia luogo davanti a colui che reca sulla sua persona i segni visibili della sua carità e consista, essenzialmente, in una “separazione” tra “pecore” e “capre”, ossia tra buoni e cattivi che nell’esistenza terrena vivevano insieme. Separazione fatta in base a un unico criterio: «l’aver dato o non dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati…» (cfr. vv.35-36), il criterio, cioè, della carità verso gli ultimi, i piccoli, i tribolati, che il Giudice ritiene come fatta o non fatta a sé stesso (v.40; v.45).
Una identificazione giustificata in quanto, nel mistero del suo amore per gli uomini umiliati dal potere del male, egli non solo si è spogliato della sua condizione divina venendo in questo mondo rivestito della nostra fragilità e debolezza, ma ha sacrificato «se stesso sull’altare della croce come vittima immacolata di pace», portando così «a compimento il mistero della nostra salvezza» (Prefazio). 
Il suo regno, pertanto, sarà popolato soltanto da gente capace di amare, come lui ha amato e, dunque un regno che, diversamente dai regni mondani fondati sul dominio e sul potere e, perciò, caduchi, sarà «un regno universale ed eterno: regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).
Esso apparirà nell’ora solenne della parusìa, l’ora del definitivo trionfo del Signore sulle potenze celesti ostili ai disegni salvifici e su tutti i nemici di Dio e degli uomini compreso quello che l’Apostolo chiama l’ultimo e il più terribile, quale è la morte (cfr. Epistola: 1Corinzi 15,24-26). Solo allora, infatti, potrà consegnare a Dio Padre il regno conquistato dal suo amore e abitato da quanti, al pari di lui, hanno amato, così che, finalmente, «Dio sia tutto in tutti» (v. 28).
Mentre attendiamo la manifestazione piena e definitiva del Regno, guardando al Signore che ci ha amato «sino alla fine», esaminiamo il nostro cuore e la nostra vita e se scoprissimo di essere collocati «alla sinistra» del trono del grande Re, supplichiamolo perché il suo Spirito ci trasformi intimamente e ci renda capaci di vivere della sua carità, che ci tiene costantemente vicini agli affamati, agli assetati, ai tribolati e agli ultimi che il mondo disprezza e non degna di considerazione alcuna, così come ha disprezzato il Signore Crocifisso.
Così facendo tutti noi, membra vive della Chiesa, autentico germoglio del Regno, mostreremo che è possibile un’altra vita, un altro mondo, un altro regno: quello dell’Amore crocifisso, l’unico che riconosciamo nostro Re. Lui solo, infatti, ha avuto «pietà dei nostri errori» e, «obbediente al volere del Padre», si è lasciato «condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio». A lui, solo a lui, dunque, diciamo: «Sia gloria, osanna, trionfo e vittoria», a lui «la più splendente corona di lode e di onore» (canto Dopo il Vangelo). 
Nel concludere l’Anno liturgico e preparandoci a vivere una nuova stagione di grazia, impariamo dalla solennità odierna a seguire le orme del Signore nella via della Carità, perché quando egli verrà come nostro giudice non abbiamo nulla da temere. Mentre ci accostiamo alla mensa imbandita dall’amore del Signore, supplichiamo il Padre perché «obbediamo con gioia a Cristo, Signore dell’universo, per regnare anche noi un giorno nella gloria senza fine»  (Orazione Dopo la Comunione).
A.Fusi

martedì 29 ottobre 2013

857 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2013

Generale: Perché i sacerdoti che sperimentano difficoltà siano confortati nelle loro sofferenze, sostenuti nei loro dubbi e confermati nella loro fedeltà.

Missionaria: Perché le Chiese dell’America Latina, come frutto della missione continentale, mandino missionari ad altre Chiese.

856 - INTERPRETARE I SEGNI DEI TEMPI

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia... Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini.…
Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura... Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico... Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale andamento del mondo. Questo sfida l'uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta.…
La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione.… Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 1-2,4,10

855 - ESSERE LIEVITO

C’è nulla di peggio di un cristiano che non si cura della salvezza degli altri? Non puoi qui tirar fuori la povertà; infatti quella donnetta che mise le due monetine ti accuserà (Mc 12,48). Anche Pietro diceva al paralitico: Non ho né argento né oro (At 3,6). Così Paolo era talmente povero da patire spesso la fame e mancare del cibo necessario. Non puoi mettere avanti la tua umile condizione; gli apostoli infatti erano umili e di basse origini. Non puoi addurre il pretesto dell’ignoranza; anche loro erano illetterati. Fossi schiavo o fuggiasco, puoi sempre fare ciò che dipende da te. Così era la situazione di Onesimo di cui Paolo fa l’elogio (Fil; Col 4,9). Non puoi obiettare che sei debole; così era anche Timoteo. Chiunque può essere utile al prossimo, se vuole compiere la sua parte.
Non vedete gli alberi delle foreste, come sono rigogliosi, come sono belli, sviluppati, snelli e alti? Ma se avessimo un orto vorremmo avere melograni e olivi fecondi piuttosto che quelli sterili... Così sono coloro che vedono soltanto i propri interessi...
Se il lievito mescolato alla farina non porterà tutto a fermentazione, è davvero lievito? E che dire di un profumo che non investa quanti si accostano? Lo si chiamerà ancora profumo? E non dire che è impossibile influenzare gli altri al bene, perché, se sei cristiano, è impossibile che qualcosa non si trasmetta; fa parte della natura stessa del cristiano... Dire che un cristiano non può essere utile al prossimo è come negare al sole la possibilità di illuminare e riscaldare.
San Giovanni Crisostomo (ca 345-407), sacerdote ad Antiochia poi vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sugli Atti degli Apostoli, 20

domenica 13 ottobre 2013

854 - TU SEI LA NOSTRA PACE


Signore Gesù, Tu hai detto: Vi lascio la mia
pace, ve la do in modo diverso da come la dà il mondo.
Hai anche detto che dove alcuni sono
uniti nel Tuo nome, Tu sarai certamente conloro.

Tu sei dunque qui in mezzo a noi.
Aiutaci a vivere insieme con Te, nello scorrere dei giorni:
con Te che sei la nostra Pace.
Aiutaci a riconoscerTi in ognuno che incontriamo.
Aiuta il nostro cuore a passare nel Tuo Cuore che,
unito al Padre, è aperto a ogni uomo, a ogni creatura
nell'alito vivificante dello Spirito Santo.

Aiuta gli occhi del nostro cuore a riconoscerTi
sempre nel volto di chi gioisce e di chi piange,
di chi ha successo nella vita e di chi, stanco e
deluso, si scoraggia e deprime.

Aiutaci a credere che la Tua pace può abbattere
il reticolato delle nostre diffidenze e discordie,
può fiorire anche nelle aride sabbie dei nostri
egoismi scoperchiati dalla tua Parola e vinti
dalla Tua grazia.

Se arriveremo insieme a tanti fratelli e sorelle
da Te pacificati, noi lo sappiamo: Tu ci
spalancherai la porta della pace e della gioia
senza fine.

(Comunità dell'Eremo San Biagio)

mercoledì 9 ottobre 2013

853 - INCONTRO IN PREPARAZIONE DEL CONVEGNO MISSIONARIO


 

Nell’ambito del Convegno Missionario Diocesano, la zona di Milano dei decanati, Forlanini, Turro ,Vittoria-Romana, Centro Storico, Lambrate, Città Studi, Venezia organizza il giorno 11 ottobre alle ore 20,45 una serata sul tema dell’alterità.

giovedì 3 ottobre 2013

852 - NOVENA E PREGHIERA A SAN FRANCESCO

Basilica superiore di Assisi

Santo d'Assisi, d'Italia e del mondo, che tanto ti prodigasti nella tua vita perché, superata ogni divisione e discordia, gli uomini si riconoscessero fratelli, dona anche a noi la capacità di mpegnarci a cercare sempre in tutti i nostri fratelli le cose che ci uniscono. Gloria

Vero cantore di Dio nel suo creato, che sapesti farti voce di ogni essere ed esaltare il Signore in tutte le sue opere, fa' che sappiamo sempre accostarci con rispetto e amore ad ogni creatura e per ammirare in essa le meraviglie di Cristo. Gloria.

Perfetto testimone della fede cristiana che, zelante del regno di Dio, con parole semplici sapesti avvicinare anche chi era lontano, aiutaci a trovare sempre le parole opportune per annunciare Cristo con franchezza e semplicità. Gloria.

Sposo fedele di madonna Povertà, che scegliesti sull'esempio di Cristo Signore come unica compagna della tua vita, concedi anche a noi di condurre una vita semplice e aperta alla condivisione con gli ultimi, gli emarginati e i sofferenti di questo nostro difficile tempo. Gloria.

Uomo fatto preghiera, patrono d'Italia, che appartieni non solo ad Assisi ma a tutta l'umanità e con la testimonianza evangelica spingi potentemente a servire la giustizia e la pace, fa' che i tuoi figli e i tuoi devoti sappiano rispondere alle sfide di questo mondo con la mansuetudine e la coerenza di chi segue il vangelo di Cristo. Gloria.

Tu, che hai avvicinato il Cristo alla tua epoca, aiutaci ad avvicinare Cristo alla nostra.
Aiutaci! Questi tempi attendono Cristo con grandissima ansia, benché molti uomini della nostra epoca non se ne rendano conto.
Aiutaci, San Francesco d'Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo.
Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci col cuore vicino al cuore del Redentore ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca, i difficili problemi sociali, economici, politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell'uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini . . .
Aiutaci a tradurre tutto ciò in semplice e futtifero linguaggio del Vangelo. Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica, affinché Cristo stesso possa essere "Via - Verità - Vita" per l'uomo del nostro tempo. AMEN.

851 - VITA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

San Francesco - Affresco Santa Maria degli Angeli
San Francesco d'Assisi nacque ad Assisi nel 1182 ca. e morì nel 1226. Giovanni Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di stoffe, istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale, condusse da giovane una vita spensierata e mondana; partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, e venne tenuto prigioniero per più di un anno, durante il quale patì per una grave malattia che lo avrebbe indotto a mutare radicalmente lo stile di vita: tornato ad Assisi nel 1205, Francesco si dedicò infatti a opere di carità tra i lebbrosi e cominciò a impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina, dopo aver avuto una visione di san Damiano d'Assisi che gli ordinava di restaurare la chiesa a lui dedicata.
Il padre di Francesco, adirato per i mutamenti nella personalità del figlio e per le sue cospicue offerte, lo diseredò; Francesco si spogliò allora dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi, eletto da Francesco arbitro della loro controversia. Dedicò i tre anni seguenti alla cura dei poveri e dei lebbrosi nei boschi del monte Subasio. Nella cappella di Santa Maria degli Angeli, nel 1208, un giorno, durante la Messa, ricevette l'invito a uscire nel mondo e, secondo il testo del Vangelo di Matteo (10:5-14), a privarsi di tutto per fare del bene ovunque.
Tornato ad Assisi l'anno stesso, Francesco iniziò la sua predicazione, raggruppando intorno a sé dodici seguaci che divennero i primi confratelli del suo ordine (poi denominato primo ordine) ed elessero Francesco loro superiore, scegliendo la loro prima sede nella chiesetta della Porziuncola. Nel 1210 l'ordine venne riconosciuto da papa Innocenzo III; nel 1212 anche Chiara d'Assisi prese l'abito monastico, istituendo il secondo ordine francescano, detto delle clarisse. Intorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, e altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva fare proseliti tra i mori.
Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo, poi si recò in Terra Santa, rimanendovi fino al 1220; al suo ritorno, trovò dissenso tra i frati e si dimise dall'incarico di superiore, dedicandosi a quello che sarebbe stato il terzo ordine dei francescani, i terziari. Ritiratosi sul monte della Verna nel settembre 1224, dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione, sul cui aspetto, tuttavia, le fonti non concordano.
Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell'amore per Dio e per la creazione espresso nel Cantico di frate Sole, probabilmente composto ad Assisi nel 1225; in esso il Sole e la natura sono lodati come fratelli e sorelle, ed è contenuto l'episodio in cui il santo predica agli uccelli. Francesco, che è patrono d'Italia, venne canonizzato nel 1228 da papa Gregorio IX. Viene sovente rappresentato nell'iconografia tradizionale nell'atto di predicare agli animali o con le stigmate.http://www.san-francesco.it/assisi.asp

domenica 29 settembre 2013

850 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - OTTOBRE 2013

Intenzione generale: "perché quanti si sentono schiacciati dal peso della vita, sino a desiderare la fine, possano avvertire la vicinanza dell'amore di Dio".
.
Intenzione missionaria: "perché la celebrazione della giornata missionaria mondiale renda tutti i cristiani coscienti di essere non solo destinatari, ma anche annunciatori della parola di Dio".
.
Intenzione dei vescovi: "perché i cristiani non si sottraggano al dovere di dare il loro contributo all'edificazione della città dell'uomo, e siano coscienza evangelica della società".

venerdì 27 settembre 2013

849 - V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Il brano di Luca 6,27-38 fa parte del cosiddetto “discorso della pianura” (6,17-49) che Gesù pronuncia, dopo l’elezione dei dodici apostoli, davanti ai suoi discepoli e alla folla. Si noti come egli si rivolga dapprima: «A voi che ascoltate», a quanti cioè aprono il cuore e la mente alla sua parola (v.27), e avvia il suo discorso riguardante il comportamento dei suoi discepoli improntato essenzialmente alla misericordia (vv. 28-34), incorniciato dai detti relativi all’amore per i nemici rispettivamente al v. 27 e al v. 35a. Tutto però poggia sul fatto che un simile amore rivela, in chi lo vive, la figliolanza dell’Altissimo, di Dio, il quale «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35). Ciò viene poi ripetuto al v. 36 dove la misericordia di Dio è indicata come misura della misericordia del discepolo. Ad esso seguono alcuni detti sul giudizio, sul perdono e sulla generosità del dono (vv. 37-38).
Le Scritture offrono una chiara testimonianza alla carità di Dio verso tutti gli uomini che si è resa visibile nel donare al mondo il suo Unico Figlio, Gesù.
Egli nella sua vita terrena ha predicato il Vangelo della salvezza destinata anche ai peccatori, ai piccoli e agli ultimi che, perciò, ha fatto oggetto di speciale attenzione e amore. Egli si è premurato di mettere in luce nella sua parola e nelle sue azioni che nessuno, proprio nessuno, è escluso dalla salvezza che Dio offre in lui, il Figlio amato!
Con ciò Gesù porta a compimento quanto i profeti avevano annunciato a proposito delle grandi cose che Dio ha in serbo non solo per il suo popolo, ma anche per gli stranieri e perfino per gli eunuchi (Lettura: Isaia 56) che «preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza» (v. 4).
Stranieri ed eunuchi nel contesto della società del tempo del profeta rappresentano il gradino più basso e, di fatto, sono considerati degli estranei, esclusi perciò dalla discendenza di Abramo e dalle promesse, impossibilitati a rendere culto all’unico Dio, il Dio di Israele. Gli eunuchi, in particolare, impossibilitati a generare, sono destinati all’insignificanza e all’oblio perenne.
Eppure, a quanti di essi si aprono alla volontà di Dio e praticano perciò la “giustizia” (v. 2), Dio promette di dare un «nome eterno» che non sarà mai cancellato dalla memoria del popolo (cfr.v. 5) e di gradire le loro preghiere e le loro offerte, ammettendoli così a celebrare il culto nel suo Tempio che, perciò, diviene «casa di preghiera per tutti i popoli» (v. 7).
Il Signore Gesù, principalmente nella sua Pasqua, compiendo l’antica profezia, ha radunato senza preclusioni di sorta nella sua comunità, la Chiesa, quanti, pur appartenenti a popoli diversi per lingua e cultura, volgono il cuore a lui e al suo Vangelo.
Ciò si concretizza nell’accoglienza delle sue parole e della sua Legge che è illustrata nella pagina evangelica oggi proclamata. In essa viene data la norma suprema della carità declinata in atteggiamenti e comportamenti umanamente inconcepibili come l’amore verso i nemici, «il fare del bene a quelli che vi odiano, il benedire coloro che vi maledicono, il pregare per coloro che vi trattano male» (Vangelo: Luca 6,27-28).
Questa norma che Gesù consegnò ai suoi discepoli e, tramite essi, a tutti coloro che nei secoli vorranno seguirlo, è stata da lui praticata per primo nel dare la sua stessa vita per gli uomini, tutti indistintamente “morti” a causa del peccato e anche per quelli a lui ostili al punto da consegnarlo a una morte violenta e infamante. In ciò egli ha rivelato il comportamento di Dio stesso il quale, “giustamente” dovrebbe condannare il mondo alla rovina eterna mentre, inaspettatamente, si mostra «benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35) concedendo il suo perdono nel suo Figlio crocifisso.
Tocca ora alla sua Chiesa mostrare e testimoniare il volto di Dio che Gesù ha rivelato nella sua persona e nella sua vita così che tutti i suoi membri appaiono effettivamente, quali sono per grazia, «figli dell’Altissimo» (v. 35) come lui, cioè, pronti al perdono e misericordiosi.
In epoca apostolica, Paolo ha tradotto la norma del Signore nell’esortazione data alla comunità di Roma composta da ebrei convertiti e da pagani e, quindi, difficilmente amalgamabili: «Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Epistola: Romani 15,7) e, perciò, supplica il Signore di concedere ad essi «di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 5-6). Si tratta di una norma tra le più difficili per noi da osservare, di fatto impossibili se non interviene un dono dall’Alto.
Del resto anche l’antico orante si domandava: «Come potrà un giovane tenere pura la sua via?», ossia vivere in fedeltà i precetti del Signore (Salmo 118,9)? La risposta è contenuta nei versetti successivi: «Con tutto il mio cuore ti cerco: non lasciarmi deviare dai tuoi comandi» (v. 10).
Cercare il Signore con tutto il cuore, chiedere a Dio di insegnarci i suoi decreti e di far sì che riponiamo in essi la nostra gioia e la nostra delizia, non più, dunque, nella gioia e nelle delizie effimere che ci procura l’assecondare il nostro cuore cattivo. È ciò che abbiamo domandato all’inizio dell’assemblea liturgica: «Signore, ascolta la mia voce! Di te il mio cuore ha detto: Cerca il suo volto! Io cercherò il tuo volto, Signore; non ti celare mai!» (Canto All’Ingresso) e per cui abbiamo pregato prima dell’offerta del Corpo e del Sangue del Signore: «Infondi, o Dio, nei tuoi figli una grande e forte capacità di amare, perché sappiano serbarsi fedeli all’insegnamento del vangelo e possano vivere sempre nella carità e nella pace» (Orazione Sui doni). 
A. Fusi