Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 31 agosto 2012

720 - UNA VITA PER LA CHIESA: CARDINALE MARTINI


719 - RICORDO DEL CARD.CARLO MARIA MARTINI

La parrocchia di San Gerolamo Emiliani ricorda con affetto e riconoscenza il Cardinale Martini e ringrazia il Signore per averlo donato alla Chiesa milanese.

 
L'Arcivescovo, il Consiglio episcopale e il Capitolo della Cattedrale accoglieranno la salma del cardinale Martini in Duomo a Milano sabato 1 settembre alle ore 12.00.
Da quel momento sarà possibile renderle omaggio sino ai funerali che verranno celebrati lunedì 3 settembre alle ore 16.00.


mercoledì 29 agosto 2012

718 - DIO

Ma c'è un'altra parola nell'universo che ci parla di Dio? Qual è?
È la voce della storia di tutta l'umanità. Questa voce udita dai nostri padri la udiamo oggi, e la udranno, domani, per tutte le generazioni. Essa ci dice: «Sappi che Dio esiste!».
Quando una cosa è fuori dal suo centro, benché si trovi in un luogo delizioso starà in questo luogo costretta e scontenta. Quando, quindi, una parte del cuore dell'uomo è fuori dal suo posto, che è Dio, qualunque cosa egli faccia si sentirà infelice e scontento.
Il mio amore è diretto a Dio e a Gesù Cristo. A Dio e a Gesù che rimarranno per sempre e che non mutano mai.
Da "I pensieri di padre Piamarta"
 

sabato 25 agosto 2012

717 - DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI

La tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana, nell’imminenza della festa del martirio di san Giovanni Battista, il Precursore del Signore (29 agosto), che segna una svolta nel tempo liturgico “dopo Pentecoste”, presenta, ogni anno, l’eroica testimonianza di fedeltà alla Legge di Dio offerta da alcuni appartenenti al popolo d’Israele, al quale il re Antioco IV Epifane voleva imporre la religione e la cultura greca, dominante anche nel vicino Oriente dopo la conquista di Alessandro Magno.

La Lettura, infatti, ci ha presentato il racconto dettagliato del martirio del più giovane di sette fratelli e della loro madre. In lui, come nella madre, colpisce la fermezza nel mantenersi fermo nella volontà di ascoltare e di obbedire al «comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè» (2 Maccabei 7,30). Il martirio dei Maccabei, il martirio del Precursore del Signore, annunziano quello del Signore Gesù e, di conseguenza, dei missionari del suo Vangelo.

Questi sono chiamati a rendersi disponibili nella sequela del Signore anche a costo di «perdere la propria vita», vale a dire l’esistenza terrena (Vangelo: Matteo 10,39 ). È l’esperienza che ha vissuto la Chiesa delle origini con l’uccisione di santo Stefano e di cui dà testimonianza l’Epistola paolina che descrive dettagliatamente la vita tribolata degli Apostoli «consegnati alla morte a causa di Gesù» (2Corinzi 4,11).

È l’esperienza che ha segnato e continua a segnare il cammino della Chiesa. Non passa giorno, infatti, che da diversi Paesi non giungano notizie di marginalizzazioni, esclusioni, soprusi, violenze e uccisione di nostri fratelli proprio a causa della loro fede in Cristo. Del resto ognuno di noi sa che in ogni momento è chiamato a dare testimonianza di fede e di amore per Gesù anche negli ambienti apparentemente meno ostili come può essere quello familiare.

Proprio lì si comprende se davvero l’amore per il Signore occupa il nostro cuore e la nostra persona orientando rettamente quello «del padre o della madre, del figlio o della figlia» (cfr. Matteo 10,37) e addirittura quello per la nostra stessa vita (v. 39). Viene poi per tutti l’ora della croce, l’ora della sofferenza, l’ora della testimonianza suprema nella quale, pure, occorre seguire il Signore.

La testimonianza, ovvero il “martirio”, è una grazia, è un dono che hanno ricevuto i fratelli Maccabei e la loro madre così come il Precursore e gli Apostoli del Signore e, con essi, una serie infinita di uomini e donne, vecchi e bambini che non hanno rinnegato Gesù «davanti agli uomini» (v. 33) e che lui non ha rinnegato ma ha riconosciuto come suoi «davanti al Padre che è nei cieli» (v. 33). Perché ci sia dato il dono della testimonianza è necessario nutrire la nostra fede alle sorgenti purissime della Parola e del Pane eucaristico.

In tal modo, tra le prove e le tribolazioni sofferte per Cristo, cresce la consapevolezza che Dio è più potente di ogni pur potente avversario capace perfino di toglierci la vita (cf. 2Maccabei 7) e, soprattutto, si fa sempre più forte la certezza che: «Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui» ( 2Corinzi 4,14).   
A. Fusi       

martedì 21 agosto 2012

716 - TRA DUE MESI PADRE PIAMARTA SANTO

1. Niente avviene per caso, Tanto meno nella vita dei santi.
A Brescia, nella seconda metà dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, ci sarebbe stato bisogno di un intervento speciale tra i giovani ed ecco che il 26 novembre 1841, nasce Giovanni Battista Piamarta, battezzato il giorno dopo nella parrocchiale di San Faustino.
Dovendo comprendere i ragazzi poveri, nasce povero, a nove anni resta orfano di Madre, conoscendo le insidie della strada e il provvidenziale aiuto dell’Oratorio.
Vivace, intraprendente, esercita un forte fascino sui compagni. Con uno di essi tenta la fuga sulla Maddalena, per imitare gli eremiti. L’avventura su conclude al calar del sole, con un precipitoso rientro.
2. Destinato a fare il materassaio, viene ‘scoperto’ da don Pezzana, parroco di Vallio, che lo introduce negli studi ecclesiastici e lo vorrà accanto a sé nei primi anni di sacerdozio a Carzago Riviera, a Bedizzole e poi a Sant’Alessandro, in città. Qui si fa notare per la carità verso i poveri e gli ammalati, ma soprattutto per il carisma nei confronti dei giovani, dei quali vedeva le aspirazioni e la povertà, le capacità e le difficoltà di inserimento nel mondo produttivo, i vuoti affettivi e i pericoli ai quali erano esposti.
Qui sentì la vocazione di fare qualche cosa, per dare loro un futuro, coll’inserirli nel mondo del lavoro e nella società, preparati professionalmente e formati cristianamente.
3. Comincia allora a salire a San Cristo, dove l’amico monsignor Capretti viveva con i“chierici poveri” alla formazione dei quali si era dedicato, investendo tempo, salute e risorse familiari. Qui salivano anche il futuro vescovo di Cremona, monsignor Bonomelli, il futuro beato Tovini, il futuro padre di Paolo VI, Giorgio Montini, per confrontarsi proprio con “don Pietro” Capretti, l’ispiratore del vigoroso movimento cattolico bresciano, che intendeva ridare Dio alla società e la società a Dio.
Con Lui don Piamarta comincia a delineare un progetto concreto per il suo sogno .
4. Improvvisamente il Vescovo lo invia parroco a Pavone Mella. Tutto sembra tramontare. Ma obbedisce, sapendo che se il suo piano viene da Dio, sarà realizzato comunque.
Infatti, dopo una serie di peripezie,nelle quali si affida nelle mani del Signore attraverso l’obbedienza, riesce a dare origine all’Istituto Artigianelli (1886), dove, tra la sorpresa generale, costruisce in breve tempo una vera cittadella del lavoro, dalla quale usciranno centinaia di giovani, che si faranno onore nella vita.
5. Nel 1895 dà origine con P.Bonsignori, considerato l’apostolo della nuova agricoltura, alla Colonia agricola di Remedello, una scuola pratica, presto riconosciuta e apprezzata in Italia e all’estero. Il Bonsignori, che sarà il primo sacerdote ad essere nominato cavaliere del lavoro, si era dato agli studi di agricoltura per migliorare le condizioni di estrema povertà della campagne, attraverso l’aumento della fertilità del terreno e la cooperazione.
6. Nel 1900 inizia anche la Congregazione S.Famiglia di Nazareth, che, sin dal titolo, dice la sua preoccupazione di preparare i giovani alla famiglia, attraverso il lavoro, la formazione del cuore, e in un clima educativo familiare.
Assieme a Madre Elisa Baldo inizierà anche la Congregazione delle Umili Serve del Signore.
Muore a Remedello il 25 aprile 1913.
7. ”La carità, la virtù più vicina all’essenza di Dio e alla miseria dell’uomo, fu il tema dominante di questa vita di santo, che è tutta un meraviglioso canto d’amore”: così lo ricorderà Monsignor Melchiorri, Vescovo di Tortona.
“Quanti giovani ha ricondotto sulla retta via. Quanti genitori ha consolati, restituendo loro i figli riabilitati con il lavoro e la pietà cristiana”. Cosi il Vescovo di Cremona Geremia Bonomelli.
Un apostolo della carità e della gioventù. Non per nulla chi lo conosceva bene vedeva in lui la compresenza di San Vincenzo de’ Paoli e di San Filippo Neri.
8. Una vita intensissima, operosa,presente in molti campi, compreso quello della cultura, attraverso la sua tipografia editrice Queriniana, l’impegno nel sociale, la calda predicazione, l’assiduità al confessionale.
Per i giovani pubblicherà innumerevoli edizioni de Il giovane studente dell’amico Geremia Bonomelli. E poi varie collane di testi teatrali, di buoni romanzi, di letture per il popolo e per biblioteche popolari.
Tiene una fitta corrispondenza, raccolta in un volume di poco meno di mille dense pagine, dove si alternano problemi educativi e questioni economiche, lettere con missionari e con ex alunni, direzione spirituale e consigli di grande saggezza.
Pubblica il periodico “La famiglia agricola”, assai apprezzata dai parroci del tempo, dove P. Bonsignori sensibilizza alla missione storica di promozione umana da parte del prete nelle campagne.
Per i suoi ragazzi fu un condottiero dal cuore di mamma: li dirigeva verso la vita educandoli al lavoro e attraverso il lavoro,con il senso del dovere e con lo stile ilare e persino scanzonato di San Filippo Neri, modello di un’educazione attenta a rendere simpatica la vita cristiana, permettendo al giovane d’essere giovane.
9. Sempre in mezzo a grandi difficoltà: “Nel senso puramente umano,l’opera non mi fruttò che dolori, triboli e spine senza numero, pene incredibili, disinganni di ogni genere”. Ma proprio in mezzo a queste difficoltà la Provvidenza l’ha sempre guidato ed aiutato ed egli può riconoscere che l’opera non è stata voluta da lui, ma da Colui che “provvede ai più piccoli dei suoi figli”, il quale ha scelto lui, povero prete, “una macchia d’inchiostro nel libro d’oro della carità”, per dimostrare che siamo piccoli servi nelle mani dell’Altissimo.
Scriverà verso la fine della sua vita: “Ho cominciato quest’opera e i contrasti e i dolori,le disillusioni e le indifferenze e gli abbandoni anche per parte di persone su cui si era fondato tutto l’appoggio morale e materiale, furono il mio pane quotidiano e continuano più che mai ad esserlo tuttora”.
“I dolori e le traversie d’ogni fatto, sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io in questi giorni, sto mangiandone la parte più dura”.
"Ma le opere di Dio non prosperano che all’ombra della croce ed anche a volere che esse diano frutti copiosi, conviene che noi le andiamo innaffiando dei nostri sudori, delle nostre lacrime e perfino del nostro sangue: basta guardare a Gesù” .
10. Ma il segreto della santità di Padre Piamarta sta nella sua vita nascosta con Dio in Cristo.
Il marchio della sua santità sta nelle lunghe ore di preghiera, per lo più antelucane. Confessava candidamente che quando era sopraffatto dal lavoro, aumentava il tempo dato alla preghiera. Con Santa Teresa d’Avila, valutava l’orazione come “un ritirarsi nel ‘castello interiore’, assieme al ‘Re sconfitto’per attingere alla potenza di Dio e così riprendere coraggio e vigore per resistere e ripartire con Lui alla riconquista del mondo”. Ecco che cosa faceva Padre Piamarta, alzandosi al canto del gallo: ritirarsi nel castello interiore, davanti al Santissimo e alla grotta della Madonna di Lourdes, per attingere alla potenza di Dio!E ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei suoi ragazzi, per ricondurli alle sorgenti della vita, con sempre nuove strategie e sempre rinnovate energie.
11. Padre Piamarta è un bresciano che ha svolto tutta la sua attività in Diocesi di Brescia, incarnando le qualità della nostra gente, intraprendente e creativa. E forte.
Non aveva un carattere facile. Ma ha lottato tutta la vita per vincere la sua impulsività e diventando un cristiano che fa del bene, ma che è anche buono, un uomo forte, ma anche mite, creativo ma anche umile.
E’una gloria della nostra Chiesa, non solo per quello che ha fatto, ma anche perché attraverso la sua famiglia religiosa ha portato la sua carità operosa in altre parti del mondo: Brasile, Cile, Angola, Mozambico, soprattutto a favore della gioventù “povera e abbandonata”.La Chiesa, onorandolo dopo cento anni della sua morte, riconosce anche la bontà della sua intuizione e l’attualità del suo carisma.
Brescia può andare fiera di lui, che povero ha portato aiuto ai poveri, non come un benefattore, ma come un fratello che si prende cura del fratello, con l’umiltà di chi sa che tutto è dono.
12. Possiamo pregare, con lui, per i nostri ragazzi e giovani: “Oggi, Signore, ti prego per i miei ragazzi. Io ho fatto per loro quel poco che potevo e Tu fa per loro tutto quello che credi necessario. Non abbandonarli a loro stessi o alle forze del male, talora tanto seducenti. Fa’ loro comprendere che quello che facciamo per loro è per prepararli alla vita. Rendili contenti quando fanno del bene, quando sono laboriosi e onesti, quando onorano il nome cristiano. Metti nel loro cuore una sana inquietudine quando fanno cose errate. E ridona loro la pace quando riconoscono d’aver sbagliato e riprendono il giusto cammino. Manda il tuo angelo perché il loro piedi non inciampi, ma prosegua sicuro sulla via che porta alla meta, dove Tu ci attendi.”
San Giovanni Piamarta prega per noi e per i nostri giovani!
Padre Piergiordano Cabra

venerdì 17 agosto 2012

715 - XII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano fa parte del discorso di Gesù riguardante la sua missione (Matteo 9,35-38) e quella dei Dodici (Matteo 10,1-5a).
Qui vengono riportare le istruzioni impartite ai Dodici in vista della loro attività missionaria. Esse riguardano anzitutto i destinatari (vv.5b-6), individuati nei soli appartenenti al popolo di Israele in quanto a esso è in primo luogo inviato il Messia.
I vv. 7-8d illustrano il programma di massima della missione, che consiste nell’annuncio del Regno dei cieli avvalorata da miracoli e da guarigioni secondo la parola dei profeti. Ai missionari viene suggerito di tenere un comportamento contrassegnato da grande essenzialità e sobrietà (vv. 8e-10) e vengono avvertiti che la loro attività può andare incontro sia al successo come al fallimento ovvero al rifiuto che espone, chi lo compie, al giudizio divino di condanna (vv. 11-15).
La Lettura vetero-testamentaria pone in rilievo l’attività profetica di Geremia, il grande profeta che preannunzia l’evento luttuoso della presa di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor, re dei babilonesi (587 a.C.), la fine del regno di Giuda sopravvissuto a quello di Israele annientato dagli Assiri nel 721 a.C.
Il profeta tiene a indicare con precisione il notevole numero di anni, ventitré, spesi nel parlare al popolo «con premura e insistenza», ottenendo sempre un rifiuto (Geremia 25,3). Invano, dunque, Geremia, come del resto tutti i profeti che lo hanno preceduto, ha esortato in continuazione il popolo ad abbandonare «la sua condotta perversa e le sue opere malvagie» (v. 4).
Si spiega, dunque, con l’ostinazione nel seguire altri dei (v. 6) il motivo per il quale Dio fa cadere sul suo popolo il castigo tramite Nabucodonosor, che egli chiama «mio servo» (v. 9 ) e, perciò, strumento dei disegni divini che contemplano, dopo «settanta anni» di deportazione a Babilonia (v. 11), il ritorno del “resto” nella propria terra.
La figura e l’attività profetica di Geremia trovano il loro compimento nel Signore Gesù che non è uno dei profeti, ma il “Figlio” nel quale Dio può manifestare pienamente e definitivamente la sua fedeltà e il suo amore per il suo popolo. Gesù, infatti, concepisce la sua missione come un essere mandato «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Vangelo: Matteo 10,6), depositaria della promessa divina riguardante il Messia. È il compito inizialmente affidato ai suoi Apostoli ai quali, per il momento, vieta di andare tra i pagani e di entrare nelle città dei Samaritani a essi equiparati (v. 5 ).
Questo perché Dio ha stipulato con Israele un’alleanza irrevocabile al pari della sua elezione tra tutti i popoli della terra (Epistola: Romani 11,29). Sappiamo, però, che l’amore di predilezione di Dio per Israele rappresenta e anticipa ciò che egli ha in serbo per tutti i popoli della terra. Questi, al pari di Israele, sono stati rinchiusi «tutti nella disobbedienza» (v.32). Di conseguenza, ebrei e pagani, ossia l’intera umanità, è come rinchiusa nel peccato, meritevole perciò dei castighi annunciati dai profeti e minacciati da Gesù su coloro che si ostinano nell’incredulità (cfr. Matteo 10,14-15). Dio, invece, ha deciso di «essere misericordioso verso tutti» (Romani 11,32).
Sarà il Signore risorto a dare agli Apostoli il mandato missionario universale perché, attraverso la predicazione, la conversione, la fede e il battesimo, venisse estesa a tutti i popoli della terra la misericordia di Dio condensata nella sua Pasqua. In tal modo, anche noi che proveniamo dalle genti, siamo stati fatto oggetto della straripante misericordia divina al punto da essere stati inseriti nel popolo santo di Dio che è la Chiesa, destinata ad abbracciare tutte le genti.
Questo, però, ci deve spronare ad accogliere con generosa disponibilità la Parola che ci viene predicata nelle Scritture, facendo attenzione a non opporle un rifiuto di fatto nella condotta e nelle scelte di vita per seguire e onorare i numerosi “dèi” che affollano il palcoscenico della storia contemporanea (cfr. Geremia 25,6), a cominciare dall’amore idolatrico del nostro “io” malvagio. Andremmo in tal caso incontro a un giudizio ben più duro di quello che toccò a Sòdoma e Gomorra (Matteo 10,15). Consapevoli dell’instabilità e della fragilità del nostro cuore facciamo appello alla misericordia di Dio: «Rendici, o Padre, attenti e docili alla voce interiore dello Spirito, perché ogni nostra parola concordi con la tua verità, e ogni atto si conformi al tuo volere».
A. Fusi

mercoledì 15 agosto 2012

714 - IL MIO SPIRITO ESULTA IN DIO MIO SALVATORE

Rubens, Assunzione della Vergine, 1626

O Vergine, Tempio della Trinità, il Dio di bontà ha visto la tua umiltà; ti invia un messaggero per dirti che vuol nascere da te. L'angelo ti porta il saluto della grazia..., ti spiega, e tu acconsenti, e subito il Re di gloria si fa carne in te. Per questa gioia, ti preghiamo, fa' che il gran Re sia a noi favorevole...
La tua seconda gioia: quando hai messo al mondo il Sole, tu la stella..., questo parto non ha prodotto in te né trasformazione né dolore. Come il fiore non perde lo splendore emanando il profumo, la tua verginità non perde nulla quando il Creatore si degna di nascere da te. Maria, madre di bontà, sii per noi la via diritta che conduce a tuo Figlio...
Una stella ti annuncia la terza gioia: quella che vedi fermarsi sopra tuo figlio, perché i magi lo adorino e gli offrano le ricchezze diverse della terra... Maria, stella del mondo, purificaci dal peccato!
La quarta gioia ti è stata data quando Cristo risuscita dai morti...: la speranza rinasce, la morte è vinta. O piena di grazia, quale parte hai in queste meraviglie! (Lc 1,28) Il nemico è vinto..., l'uomo è liberato e si innalza fino al cielo. Madre del Creatore, degnati di pregare con costanza: per questa gioia pasquale, dopo il travaglio di questa vita, possiamo noi essere ammessi nei cori del cielo!
La tua quinta gioia: quando hai visto tuo figlio salire al cielo, la gloria di cui era circondato ti rivelava più che mai colui di cui eri madre, il tuo stesso Creatore. Salendo al cielo, mostrava la via attraverso cui l'uomo si eleva alle dimore celesti... Per questa nuova gioia, Maria, facci salire al cielo per gioire con te e tuo figlio dell'eterna felicità!...
E' il divino Paraclito che, sotto forma di lingue di fuoco, fortificando ... e infiammando gli apostoli, ti porta ancora la sesta gioia: per guarire l'uomo che a causa della lingua si era perso e purificare la sua anima dal peccato. Per la gioia di questa visita, prega tuo figlio, Vergine Maria, di cancellare in noi ogni macchia per il giorno del giudizio.
Cristo ti ha invitato alla settima gioia quando ti ha chiamata da questo mondo al soggiorno celeste, quando ti ha innalzata sul trono dove ricevi onori incomparabili. Ti corona una gloria più grande di qualsiasi altro abitante del cielo... Vergine, madre di bontà, facci sentire gli effetti della tua tenerezza... Per la tua gioia, purificaci, portaci alla felicità eterna! Portaci con te nella gioia del paradiso. Amen
Liturgia latina, Sequenza dei secoli XIV e XV

martedì 14 agosto 2012

713 - PREGHIERA PER L'ASSUNZIONE DELLA B.V. MARIA

Vergine Immacolata,
Madre di Dio e Madre degli uomini,
noi crediamo nella tua assunzione

in anima e corpo al cielo,
dove sei acclamata da tutti i cori degli angeli

e da tutte le schiere dei santi.
noi ad essi ci uniamo per lodare

e benedire il Signore che ti ha esaltata sopra
le creature e per offrirti l'anelito

della nostra devozione e del nostro amore.
Noi confidiamo che i tuoi occhi misericordiosi

si abbassino sulle nostre miserie
sulle nostre sofferenze;

che le tue labbra sorridano alle nostre gioie
e alle nostre vittorie;

che tu senta la voce di Gesù
ripeterti per ciascuno di noi:
Ecco tuo figlio.
Noi ti invochiamo nostra madre

e ti prendiamo, come Giovanni, per guida,
forza e consolazione della nostra vita mortale.
Noi crediamo che nella gloria,

dove regni vestita di sole e coronata di stelle,
sei la gioia e la letizia degli angeli e dei santi.
noi in questa terra, ove passiamo pellegrini,

guardiamo verso di te, nostra speranza;
attiraci con la soavità della tua voce
per mostrarci un giorno,
dopo il nostro esilio, Gesù,

frutto benedetto del tuo seno, o clemente,
o pia, o dolce Vergine Maria.
(Pio XII)

sabato 11 agosto 2012

712 - XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il vangelo di Matteo 21,33-46 presenta la parabola chiamata “dei vignaioli ribelli e omicidi”, pronunziata da Gesù nell’area del Tempio di Gerusalemme con spiccato accento polemico contro le autorità giudaiche a lui ostili e che lo condurranno alla morte. La parabola è introdotta da un invito iniziale di Gesù ad ascoltare, che funge da raccordo con la parabola precedente dei due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna (21,28-32). Si presenta divisa in due parti: i vv. 33b-39 sviluppano il racconto della violenta reazione dei vignaioli ai tre tentativi del padrone di inviare a essi suoi rappresentanti; vv. 40-44 presentano, mediante il dialogo tra Gesù e gli uditori, l’applicazione della parabola.
I vv. finali: 45-46 riferiscono della reazione ancora una volta ostile dei capi dei sacerdoti e dei farisei. In particolare nella prima parte risulta in primo piano la vigna oggetto della cura del padrone, nel quale si può pensare di vedere la premura di Dio per il suo popolo (vigna), dal quale si attende dei frutti come l’obbedienza e la fedeltà al suo volere (vv. 33-34). Per ottenerli vengono inviati dal padrone i suoi servi, ossia i profeti. Il v. 35 parla della reazione dei contadini che via via bastonano, uccidono e lapidano gli inviati del padrone. Segue un nuovo invio di servi con eguale esito (v. 36) e, come ultimo, l’invio del proprio figlio, vale a dire di Gesù, contro il quale si scatena la trama omicida dei contadini nei quali sono raffigurati i capi del popolo (vv. 37-39).
Nella seconda parte (vv. 40-42), costruita come un dialogo di Gesù con gli ascoltatori, viene annunciato il passaggio del regno di Dio «a un popolo che ne produca i frutti» (v. 43). Si tratta di un popolo composto da quanti, ebrei o pagani, si convertono al Vangelo e riconoscono Gesù come «la pietra d’angolo» (v. 42) su cui si edifica il popolo di Dio.
In questa domenica viene presentato il profeta Elia, il più grande tra i profeti inviati da Dio al suo popolo, specialmente nell’epoca triste della divisione in due regni e di cui riferiscono il primo e il secondo libro dei Re fino alla tragedia immane della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. e poi nella stagione dell’esilio a Babilonia e del successivo ritorno nella terra dei Padri. Elia, rapito al termine della sua vita su un carro di fuoco, nel comune sentire della gente al tempo di Gesù sarebbe ritornato all’epoca dell’arrivo del Messia tanto atteso.
Nella Lettura egli appare come l’implacabile avversario di quanti, come il re Acab e la sua perfida moglie Gezabele, ingannano il popolo irretendolo nella perversione dell’idolatria. In pari tempo, Elia non risparmierà le sue forze al fine di riportare a Dio il suo popolo sempre tentato di «saltare da una parte all’altra», ovvero tra la fedeltà al Signore e la degenerazione idolatrica (Lettura: 1Re 18, 21). Egli sa che proprio la caduta nell’idolatria dei popoli vicini, e l’abbandono dei comandi del Signore è ciò che manda in rovina Israele, cosa puntualmente verificatasi prima nell’annientamento del regno del Nord (2 Re 17) e poi in quello già citato di Giuda e Gerusalemme.
Per questo non esita, con la sfida lanciata ai falsi profeti di Baal (vv. 23-24), all’estremo tentativo di condurre il popolo a riconoscere, davanti al prodigio del fuoco del Signore, capace di consumare letteralmente «l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere» (v. 38), che «il Signore è Dio! Il Signore è Dio» (v. 39). Nella sua vita e nella sua attività Elia preannunzia l’arrivo nella «vigna di Dio che è la casa di Israele» e, a partire da essa, nell’intera umanità, non più e non soltanto di un “servo” di Dio quali sono stati i profeti e, in misura eminente, lui stesso, ma «il suo proprio figlio» (Vangelo: Matteo 21,37).
La venuta di Gesù nel mondo, che è la “vigna” amata da Dio e nella quale è posto il germoglio autentico del Regno, è il segno più grande del suo amore per l’umanità e della sua volontà di salvarla dalla rovina a cui va inevitabilmente incontro a motivo dell’incredulità che è idolatria! Al pari dei “servi”, al pari di Elia, anche il “figlio” andrà incontro alla durezza dei cuori, all’incapacità di vederlo e di ascoltarlo come portatore della salvezza, indistintamente offerta a ogni uomo. Anzi è lui, in verità, il figlio «cacciato fuori dalla vigna e ucciso» (v. 39).
Eppure il rifiuto violento opposto a Gesù specialmente da parte dei “contadini”, ovvero dei capi del popolo, non impedisce alla grazia di Dio di eleggere e chiamare alla salvezza “un resto” (Epistola: Romani 11,5) tra questo popolo, come primizia di un popolo preso tra tutti i popoli della terra che è costruito sul Signore Gesù quale pietra d’angolo (Matteo 21,42; cfr. Salmo 118,22). Noi che abbiamo avuto la grazia di essere chiamati, per la fede e il battesimo, a far parte di questo popolo fondato sul Signore Gesù e al quale è stato affidato la cura e l’espansione del Regno di Dio nel mondo, facciamo bene attenzione.
L’essere stati chiamati alla salvezza in Cristo Signore è un dono del tutto gratuito di Dio, il quale si attende di «raccogliere i frutti» (Matteo 21,34), che consistono anzitutto in un’adesione ferma e non “saltellante” (cfr. 1Re 18,21) a lui e alla sua Parola e in un’osservanza amorevole di essa. È ciò che chiediamo all’unisono nell’orazione Dopo la Comunione: «O Dio, che ci hai reso partecipi dell’unico Pane e dell’unico Calice, fa’ che portiamo frutti di vita eterna per la salvezza del mondo, poi che ci concedi la gioia di essere una sola cosa in Cristo Signore».
A. Fusi

venerdì 3 agosto 2012

711 - X DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano parla della presenza e dell’attività di Gesù nel Tempio che rappresenta la meta finale del suo ingresso messianico in Gerusalemme (Matteo 21,1-11). Nella prima parte (vv. 12-13) viene descritto il gesto del Signore relativo alla purificazione del Tempio con la cacciata di tutti quelli che vendevano e compravano (v. 12); un gesto che trova la sua spiegazione nella citazione scritturistica del v. 13 (cfr. Isaia 56,7; Geremia 7,11) che allude a quanto era stato annunciato dai profeti in ordine alla purificazione del Tempio da parte del Messia (cfr. Malachia 3,1-3). La seconda parte, vv. 14-16, riferisce dell’attività di guarigione effettuata da Gesù nel Tempio (v. 14) e della reazione ostile dei capi del popolo a proposito dell’acclamazione dei fanciulli che avevano accompagnato il suo ingresso in Gerusalemme (vv. 15-16). Con la loro acclamazione essi riconoscono in Gesù che guarisce i ciechi e gli storpi il Messia che sarebbe uscito dalla casa di Davide secondo le divine promesse. Anche in questo caso la risposta del Signore è presa dalla Scrittura e precisamente dal Salmo 8,3 nel quale si afferma che, sorprendentemente, sono i neonati e i bambini a riconoscere e a celebrare le meraviglie di Dio.
In questa domenica viene posta in luce una delle realtà tra le più importanti nella storia e nella vita del popolo d’Israele: il Tempio di Gerusalemme costruito e dedicato a Dio dal re Salomone, figlio di Davide.
La sua costruzione, voluta fortemente da Davide e da lui preparata, fu effettivamente intrapresa e condotta a termine da suo figlio Salomone, il più splendido dei re di Israele. Egli infatti lo inaugurò affermando: «Ho voluto costruirti una casa eccelsa, un luogo per la tua dimora in eterno» (Lettura: 1Re 8,13). Si trattava in effetti di una delle meraviglie del mondo antico e rappresentava il cuore e il centro unificante per tutti gli Ebrei. In esso, infatti, sapevano di incontrare Dio stesso che era sceso a prenderne possesso con la «nube che riempiva il tempio del Signore» (v. 10) quella stessa nube che garantiva la presenza liberante e protettiva di Dio al suo popolo in cammino nel deserto verso la terra della promessa (cfr. Esodo 13,21-22; 33,9-10; 40,34-35).
La pagina evangelica, con i gesti e le parole dette dal Signore in occasione del suo ingresso messianico in Gerusalemme e concluso proprio nel Tempio, fa capire che nell’evento in essa narrato viene portato a compimento ciò che era mirabilmente annunziato nella magnifica costruzione di Salomone.
Questa, infatti, preludeva a un nuovo Tempio, non più costruito dall’uomo, vera e definitiva dimora di Dio non solo in mezzo al suo popolo Israele bensì fra tutte le genti. Si tratta di Gesù, l’Unigenito suo Figlio venuto nel mondo a stabilire la comunicazione e la comunione tra Dio e l’uomo cosa questa, che può avvenire soltanto in lui e attraverso di lui e a rendere presente nel mondo Dio stesso come liberatore, protettore e salvatore.
Il testo evangelico, a tale riguardo, sottolinea come, proprio nel Tempio, Gesù si prende cura di ciechi e storpi che a lui si avvicinavano (Vangelo: Matteo 21,14), facendo intendere, in tal modo, il senso della sua missione messianica: purificare, guarire l’uomo da tutto ciò che lo ferisce, lo degrada e lo porta alla rovina, perché risplenda a sua volta come abitazione e tempio di Dio.
Non a caso l’Apostolo Paolo esorta i credenti, che nella fede e nel battesimo sono stati santificati, a non aver più niente a che fare con l’iniquità, con le tenebre, con Beliar, con gli idoli in quanto: «Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente» (Epistola: 2Corinzi 6,16b).
Mentre ci accostiamo al Signore Gesù Cristo, presenza viva di Dio Padre, che vuole camminare con noi suo popolo, lasciamo che lui ci purifichi anche energicamente da «ogni macchia della carne e dello spirito» (v. 7,1b) portando così a compimento la nostra santificazione che fa di noi tutti la sua dimora preferita e amata.
A. Fusi