Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 28 aprile 2012

681 - IV DOMENICA DI PASQUA

I presenti versetti del Vangelo (Gv.10,27-30) fanno parte del più ampio racconto riguardante l’ultimo soggiorno del Signore in Gerusalemme prima della sua Passione e sono ambientati nel Tempio in occasione della festa della Dedicazione (Giovanni 10,22-39). Più in particolare essi sono inseriti nel dialogo polemico con i Giudei, suoi irriducibili avversari, i quali con l’intento malvagio di avere di che accusarlo gli domandano: «Se sei tu il Cristo, dillo a noi apertamente», una domanda che riguarda la sua messianicità e soprattutto la sua figliolanza divina.
Nella sua risposta Gesù afferma che il motivo della loro incredulità risiede nel fatto che essi non sono «sue pecore» (v. 26), riprendendo in tal modo il discorso sul Buon Pastore (Giovanni 10,11-16). Il v. 27 infatti descrive l’ascolto della voce di Gesù, caratteristica essenziale di quanti possono dirsi pecore che appartengono a lui. Un ascolto che le fa entrare in un rapporto intimo con lui al punto da seguirlo, ponendosi cioè nel suo cammino di adesione al volere di Dio.
Il v. 28 dice che cosa Gesù intende offrire ai suoi discepoli: fin da ora la vita eterna, vale a dire la partecipazione alla vita divina e la garanzia valida fino alla fine dei tempi che «nessuno le strapperà dalla mia mano», assicurando con ciò la salvezza eterna. Una simile sicurezza è garantita dal fatto che le sue pecore, ossia i suoi discepoli, sono simultaneamente le pecore «del Padre mio», di Dio, dalle cui mani, ovvero dalla sua potenza protettrice, nessuno può pensare di sottrarle.
La conclusione al v. 30 è una dichiarazione relativa all’unione profonda che esiste tra Gesù e il Padre e che riguarda l’unità del Padre e del Figlio nell’unica essenza divina.
Nella sua Pasqua di morte e di risurrezione, Gesù ha realizzato pienamente e definitivamente ciò che è contenuto ed espresso nell’immagine biblica del Buon Pastore. Il testo evangelico, a tale riguardo, illumina i credenti sul significato e su ciò che comporta la loro appartenenza al gregge del Crocifisso e Risorto. In primo luogo essi devono avvertire la loro appartenenza esclusiva al Signore, di cui ascoltano la voce, seguendolo, ossia vivendo di lui, per lui e come lui. Non a caso perciò il Signore designa i credenti come «mie pecore», esprimendo in tal modo la qualità del rapporto che lo lega a essi e l’assoluta necessità che questi hanno di lui. Quanti sono diventati credenti sono “del” Signore perché egli li ha sottratti al potere delle tenebre eterne a prezzo della sua stessa vita. Sono “suoi” perché a essi il Signore comunica la vita eterna, ovvero li rende partecipi della sua comunione di vita e di amore con il Padre. Essendo “suoi”, il Signore li custodisce nella sua “mano” così come fa il Padre, difendendoli da ogni potere avverso e soprattutto impedendo che vengano di nuovo ricondotti sotto il potere del male, del peccato e, dunque, della morte. La preghiera liturgica ha sapientemente così sintetizzato l’annunzio evangelico della salvezza che è in Cristo Signore, il quale «mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale» (Prefazio). Le Scritture, oggi proclamate, dicono che l’opera “pastorale” del Signore continua nella Chiesa e nel mondo per mezzo degli apostoli e dei loro successori che, in realtà, sono vicari dell’unico Pastore, Cristo Signore.
L’Apostolo Paolo è presentato nella Lettura come modello dei pastori, totalmente consacrato al ministero della Parola a cui attende, senza risparmio di tempo e di energie (Atti degli Apostoli 20,11) e colto nell’atto di “spezzare il pane”, gesto che rende presente ciò che il Signore ha compiuto dando la sua vita sulla Croce e risorgendo dai morti. È da tale evento che viene per i credenti, già da questa vita terrena, il dono della vita eterna e la certezza della salvezza finale.
Si comprende perciò come Paolo raccomandi al suo discepolo Timoteo di dedicarsi, con tutte le sue forze, e fidando soprattutto sul dono dello Spirito invocato su di lui con il gesto dell’imposizione delle mani (Epistola: 1 Timoteo 4,14), al personale assiduo contatto con la Parola di Dio per essere in grado di trasmetterla fedelmente e di esortare autorevolmente i fedeli a vivere in conformità ad essa!
La consapevolezza di essere saldamente tenuta nella mano di Dio Padre e del suo Figlio, mentre rassicura la comunità dei credenti in cammino tra le avversità e le prove di questo mondo, la spinge ad ascoltare con docile obbedienza la voce del suo Signore e a seguirlo sulla via che porta alla vita eterna, la Vita stessa di Dio da lui donata nell’ora della sua morte e della sua risurrezione.
A. Fusi