Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 23 settembre 2011

594 - IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL PRECURSORE

Il brano oggi proclamato introduce, di fatto, quello che viene comunemente indicato come il discorso sul “pane della vita” (Gv. 6,35-59) avviato dal grande “segno” compiuto da Gesù nello sfamare oltre cinquemila persone con “cinque pani d’orzo e due piccoli pesci” (v. 9) che un ragazzo, tra la folla, recava con sé.
Si comprende, perciò, come la folla cercasse Gesù inseguendolo al di là del lago di Tiberiade alla volta di Cafarnao (v. 24) e, una volta trovatolo, intesse con lui un dialogo che, secondo lo stile narrativo dell’evangelista Giovanni, è tutto orientato alla domanda conclusiva del v. 34: «Signore, dacci sempre questo pane» che provoca la parola di rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35).
In una prima risposta (vv. 26-27) Gesù invita i suoi interlocutori, che lo seguono al fine di ricevere ancora cibo gratuito e abbondante (v. 26), a darsi da fare (= operate): «non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27).
Parole misteriose che riguardano un “alimento” certamente non materiale e che può essere dato soltanto dal “Figlio dell'uomo”, vale a dire dal Messia consacrato a Dio dal suo “sigillo”, ossia dal suo Santo Spirito (v. 27).
Esse provocano negli interlocutori un’ulteriore domanda riguardante cosa devono compiere per «fare le opere di Dio» e così ricevere il «cibo che rimane per la vita eterna». La risposta di Gesù è lapidaria: «che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). L’“opera” dunque da fare è accogliere e prestare fede all’inviato di Dio come suo unico rivelatore, ossia allo stesso Gesù.
E' quanto comprendono gli interlocutori che sono disposti a credere in lui a patto però che faccia un “segno” che lo accrediti appunto come tale (v. 30). Di qui la citazione scritturistica del “segno” dato da Mosè che nel deserto, fa piovere dal cielo la manna come “cibo”, compresa anche al tempo di Gesù come figura del dono della Legge che è data a Israele come vero nutrimento quotidiano.
Gesù, a questo punto, conduce ancora più in alto il dialogo con la solenne affermazione introdotta dal duplice “In verità in verità io vi dico”, rivelando quale autore del dono del “pane dal cielo”, non un uomo per quanto grande come Mosè, ma Dio stesso e indicando nel segno del “pane” la persona stessa del suo Inviato (v. 33), incaricato non solo di nutrire Israele ma di “dare la vita” al mondo intero (v. 33).
Di qui la richiesta dei Galilei: «Signore dacci sempre questo pane» (v. 34) alla quale Gesù risponde con la solenne parola di auto-rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). Gesù pertanto non è solo in grado di ottenere da Dio il pane di vita eterna ma lui, in persona, è quel “pane”!
È questa la “testimonianza” che accogliamo oggi dalla parola di Dio e che come comunità del Signore, ma anche come singoli credenti, dobbiamo saper trasmettere. Gesù, l’inviato dal Padre, il rivelatore del suo volto, è il pane di vita e di salvezza dato da Dio al mondo. Egli è la concreta risposta che, ieri come oggi, Dio dà all’umanità avvilita e umiliata dal potere del male e che a lui grida: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Lettura: Isaia 63,19b).
Gesù è disceso dal cielo, è venuto dal Padre per strapparci al potere del male che fa dell’intera umanità, secondo la parola profetica, «una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento» (Isaia 64,5).
Gesù “pane di vita” è ora offerto e donato al mondo nell’attuazione liturgica della sua croce, vale a dire del suo sacrificio pasquale. Con esso egli ha posto fine ai sacrifici materiali dell’antica alleanza entrando «una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri o di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Epistola: Ebrei 9,12).
Il segno perenne del suo sacrificio redentivo è il “pane eucaristico” che viene imbandito sull’altare perché chi crede ne mangi per avere fin da ora la “vita eterna” che è comunione con la vita divina. Si comprende, perciò, come sia decisivo per tutti i membri della Chiesa «restare in comunione con Cristo, nostro capo, nella fede e nelle opere» per poter «ritrovarci tutti partecipi della felicità eterna» (Orazione Dopo la Comunione) già sperimentata nel mistero eucaristico del “ pane di vita”.
Alberto Fusi