Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 17 settembre 2010

397 - LA TESTIMONIANZA DI GESU’

Il brano evangelico, qui riportato, fa parte di un più ampio discorso di autorivelazione di Gesù come Figlio di Dio (5,19-30) e al quale Dio stesso rende “testimonianza” (31-47). In particolare nei vv 25-30 viene messa in luce “l’opera” propria che è affidata a Gesù nei confronti dell’intera umanità dall’inizio alla conclusione della storia contrassegnata dal “giudizio”.

I vv 31-36, invece, riportano le autorevoli “testimonianze” elencate da Gesù stesso e che riguardano la sua persona e la sua missione: la “testimonianza resa da Giovanni Battista” (vv 32-33) e soprattutto quella del Padre che lo ha “mandato” (v 36).

In questa domenica è perciò posto in primo piano il mistero di Gesù, il Figlio di Dio inviato nel mondo per attuare la missione salvifica nei riguardi dell’intera umanità. Questa, a causa dell’incredulità e del peccato che la allontana dalla “vita”, da Dio, è come chiusa in un sepolcro dal quale verrà richiamata in vita per ricevere la sentenza della definitiva condanna (cfr. v 29).

La Scrittura, con accenti molto simili, descrive la situazione drammatica in cui versa il popolo stesso di Dio a motivo dei suoi peccati e delle sue iniquità (cfr. Lettura: Isaia 43,24s). Ma è sempre la stessa Scrittura a rivelare l’agire buono e misericordioso di Dio “per amore” di sé stesso, in corrispondenza cioè con la sua natura. Egli, con decisione libera e gratuita, “cancella” i misfatti del suo popolo, non “ricorda” i suoi peccati (cfr. v 25) e addirittura riversa su di esso il “suo spirito” e la “sua benedizione” per sempre (44,3). In tal modo Dio rianima e fa rifiorire il suo popolo, come avviene per un “suolo assetato” e un “terreno arido” su cui viene riversata acqua in abbondanza (v 3).

Questa unica prospettiva salvifica per il mondo e la storia si è definitivamente e concretamente realizzata con la “benedizione” di Dio che è il suo Figlio Gesù, il quale con la predicazione del suo Vangelo richiama “in vita” quanti “ascoltano” la sua voce, ossia lo accolgono e credono in lui (Vangelo: Giovanni 5,25).

Il Figlio, “che ha la vita in sé stesso” (v 26), viene nel mondo per donare la vita “eterna”. Questo dono, però, esige di essere accolto liberamente, con adesione di fede, sulla base di precise “testimonianze” destinate ad assicurare che lui è il Messia, è l’inviato da Dio. La testimonianza prima e “superiore” è data da Dio stesso al suo Figlio attraverso le “opere”, ossia i miracoli che Gesù compie e che di per sé solo Dio può compiere (v 36): “dare la vista ai ciechi, far parlare i muti, risuscitare i morti”.

A ben guardare, come afferma la Lettera agli Ebrei una moltitudine di “testimoni”, vale a dire i grandi personaggi biblici quali i Patriarchi, Mosè, i Profeti e, da ultimo, Giovanni il Battista, danno “testimonianza” che la loro opera e la loro missione, pur autentica, è provvisoria e limitata nel tempo e nello spazio e preannunciano perciò la missione e l’opera definitiva di Gesù il Figlio di Dio che ha un valore sovratemporale e universale e, nel quale, “Dio aveva predisposto qualcosa di meglio” (Epistola: Ebrei 11,40) per noi: il “dono” della vita che ha “in sé stesso” e che «ha concesso anche al Figlio di avere in sé stesso» (Giovanni 5,26).

Mossi da questa moltitudine di “testimoni”, anche noi siamo invitati a tenere «fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Ebrei 12,2). Siamo sollecitati, in una parola, ad accogliere con fede il Figlio, rivelatore del Padre, portatore della “vita” capace di risuscitare i morti, nello spirito come nel corpo.

Siamo inoltre sollecitati a dare la nostra personale e comunitaria “testimonianza” a Gesù, deponendo concretamente «tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia» (Ebrei 12,1) per chiuderci nel “sepolcro” di morte. Egli, non lo dimentichiamo, «si sottopose alla croce» (v 2), l’“opera” ultima che il Padre gli ha dato da compiere e con la quale ci ha resi partecipi della “vita”.

(A. Fusi)