Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 18 giugno 2010

336 - MA IO VI DICO ...

Il brano evangelico inaugura la serie di antitesi: “Avete inteso che fu detto agli antichi… Ma io vi dico” che caratterizza il capitolo quinto del grande “discorso sul monte” (Matteo 5-7). Esso rappresenta, in pratica, la “legge” promulgata da Gesù e la cui osservanza mantiene il popolo da lui acquistato, nell’”alleanza nuova ed eterna” con Dio. In particolare i vv 21-22 presentano l’antitesi tra ciò che prescrive la Legge e, più precisamente, il quinto comandamento del Decalogo: “Non uccidere” con la conseguente sanzione data dal tribunale terreno, e ciò che afferma Gesù con tre specifici enunciati di tipo giuridico che prima riferiscono il “reato” e quindi, la rispettiva punizione. Il primo dei reati è il sentimento dell’”ira” covato contro il “proprio fratello”, un membro cioè della comunità. Di tale sentimento si dovrà rendere conto in “tribunale”, quello divino s’intende! Il secondo e il terzo reato sono manifesti e riguardano gli insulti e le ingiurie rivolte al “fratello” puniti rispettivamente nel tribunale della comunità e nel “fuoco della Geénna” luogo deputato nella concezione apocalittica giudaica al giudizio degli empi.

Con ciò il Signore vuole far capire che si dovrà rendere conto a Dio dei sentimenti e degli atteggiamenti gli uni verso gli altri. Egli vuole che la sua Chiesa risplenda già da ora, in questo mondo dominato dagli istinti feroci che contrappongono gli uomini come nemici, come un segno del raduno celeste di tutti nell’unica casa di Dio. Per questo egli dà ai suoi la “legge” dell’amore che non annulla certo i Comandamenti, ma li porta al loro esito finale già previsto nel volere di Dio. In questa luce va perciò compreso anche il “detto” originale di Gesù relativo al vero culto da rendere a Dio (vv 23-24).

L’Epistola, al riguardo, afferma che esso va compiuto “per fede” sull’esempio di Abele che «offri a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino» e ottenne così di essere dichiarato “giusto” (Ebrei 11,4). Per Gesù il “sacrificio migliore” che Dio mostra di gradire è quello offerto da chi è in pace con tutti i suoi “fratelli” o almeno è disponibile a fare gesti concreti di “riconciliazione”.

È ciò che abbiamo ripetuto nel ritornello al Salmo 49: «Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello» ed è quanto viene autorevolmente ricordato e richiesto a chi partecipa al sacrificio eucaristico nel rito liturgico dello scambio di pace «prima di presentare i nostri doni all’altare».

Il brano evangelico, proclamato nel tempo “dopo la Pentecoste” che, alla luce della Pasqua, ci fa rileggere e rivivere gradatamente l’intera storia della salvezza, mostra come nella legge del Signore Gesù che esige il consapevole “sacrificio” di sé per vivere nel perdono e nella carità verso tutti, viene neutralizzato il tentativo del male di stravolgere il disegno di Dio sull’uomo e sull’intero creato.

La Lettura ci presenta la pagina drammatica dell’uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino, intesa come tragico epilogo di sentimenti malvagi nutriti da questi nei confronti di Abele e che la Scrittura descrive efficacemente, quasi personalizzando il “peccato”, come un intruso “accovacciato alla tua porta” (Genesi 4,7).

Il racconto biblico dell’uccisione del “fratello” diviene così il paradigma nel quale va letta e interpretata ogni uccisione, ogni violenza, ogni crudeltà, malvagità, ingiustizia dell’uomo contro un altro uomo. Si uccide, dunque, la propria “carne” e il “proprio sangue” qual è l’uomo, ogni uomo, nei confronti di un altro uomo, chiunque egli sia.

Si tocca così con mano l’opera devastante del male che si insinua nel mondo, nel cuore dell’uomo e lo perverte fino al punto da alzare la mano contro il proprio “fratello” magari “minore”, ovvero più debole, umile e indifeso.

Nell’ora della sua passione, facendosi inghiottire dal potere tenebroso del male e del peccato, Gesù lo ha come spezzato, e ha promulgato nel dono di sé, la Legge che porta a compimento ogni Legge: quella dell’amore. Una Legge promulgata non solo e non tanto con le parole “sul monte” ma nel suo sangue, nel dare cioè la sua vita per i suoi “fratelli”, vale a dire tutti gli uomini, e che, se osservata, è in grado di vanificare l’opera mortifera del male e del peccato.

Questo il Signore chiede a quanti, nel mistero eucaristico partecipano al sacrificio che ha ottenuto ogni dono di grazia sul mondo, sulla storia, sull’umanità. Mangiare il “pane” della mensa eucaristica comporta disporsi a vivere concretamente ciò che esso significa. Per questo preghiamo umilmente il Padre che «tanta pietà ha provato per noi da mandare il suo Unigenito come redentore» (Prefazio) di «infondere nei nostri cuori il disgusto per ogni forma di male» (orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica), di liberare «il nostro cuore da ogni nascosta ombra di colpa» e di difenderci «dalle insidie di ogni avverso potere» (orazione Dopo la Comunione).

(A.Fusi)